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Рассказ «Непобеждённый» (L'invitto) на итальянском языке – читать онлайн

Рассказ «Непобеждённый» (L'invitto) на итальянском языке – читать онлайн, автор книги – Эрнест Хемингуэй. Другие рассказы, которые написал Эрнест Хемингуэй, а также книги разных жанров других известных писателей можно читать онлайн в разделе «Книги на итальянском».

Тем, кто самостоятельно изучает итальянский язык, будет интересен раздел «Фильмы и видеоуроки на итальянском языке».

Для тех, кого интересует изучение итальянского не только самостоятельно, но и с преподавателем, подробная информация есть на странице «Итальянский по скайпу».

 

Теперь возвращаемся к чтению рассказа «Непобеждённый» (L'invitto) на итальянском языке, автор – Эрнест Хемингуэй.

 

L'invitto

 

Manuel Garcìa salì le scale fino all'ufficio di don Miguel Retana. Depose la valigia e bussò all'uscio. Non ci fu nessuna risposta. Manuel, ritto nel corridoio, sentiva che c'era qualcuno nella stanza. Lo sentiva attraverso la porta.

- Retana? - disse, tendendo l'orecchio. Non ci fu nessuna risposta.

È lì, accidenti, pensava Manuel.

- Retana, - disse, e picchiò sulla porta.

- Chi è? - disse qualcuno nell'ufficio.

- Io, Manolo, - disse Manuel.

- Cosa vuoi? - chiese la voce.

- Voglio lavorare, - disse Manuel.

Qualcosa nella porta scattò diverse volte e il battente girò sui cardini e si aprì. Manuel entrò, con la valigia in mano.

Un ometto sedeva dietro una scrivania in fondo alla stanza. Sopra la sua testa c'era una testa di toro, impagliata da un tassidermista di Madrid; sui muri c'erano delle foto in cornice e dei manifesti di corride.

L'ometto restò seduto guardando Manuel.

- Credevo che ti avessero ammazzato, - disse.

Manuel batté le nocche sulla scrivania. L'ometto restò seduto guardandolo da dietro la scrivania.

- Quante corride hai fatto quest'anno? - chiese Retana.

- Una, - rispose l'altro.

- Solo quella? - chiese l'ometto.

- Tutto lì.

- L'ho letto sui giornali, - disse Retana. Si appoggiò alla spalliera e guardò Manuel.

Manuel alzò lo sguardo al toro impagliato. Lo aveva già visto tante di quelle volte che provava per lui un certo interesse familiare.

Quel toro aveva ucciso suo fratello, quello che prometteva bene, circa nove anni prima. Manuel ricordava quel giorno. C'era una targa di ottone sullo scudo di quercia dov'era montata la testa del toro.

Manuel non sapeva leggere, ma immaginava che fosse alla memoria di suo fratello. Be', era stato un bravo ragazzo.

La targa diceva: «Il toro Mariposa del duca di Veragua, che ricevette nove colpi di vara da sette caballos e causò la morte del novillero Antonio Garcìa, 27 aprile 1909».

Retana notò che Manuel guardava la testa di toro impagliata.

- Quelli che il duca mi ha mandato per domenica faranno scandalo, - disse. -Sono tutti deboli di zampe. Che ne dicono al caffè?

- Non so, - disse Manuel. -Sono appena arrivato.

- Già, - disse Retana. -Hai ancora la valigia.

Guardò Manuel, appoggiandosi alla spalliera dietro la grande scrivania.

- Siediti, - disse. -Levati il berretto.

Manuel si mise a sedere; senza berretto la sua faccia era diversa. Era pallido, e la coleta appuntata in avanti sulla testa, in modo che non si vedesse sotto il berretto, gli dava un'aria strana.

- Non hai una bella cera, - disse Retana.

- Sono appena uscito dall'ospedale, - disse Manuel.

- Avevo sentito dire che ti avevano tagliato la gamba, - disse Retana.

- No, - disse Manuel. -È andata bene.

Retana si sporse in avanti sopra la scrivania e spinse verso Manuel una scatola di legno piena di sigarette.

- Prendi una sigaretta, - disse.

- Grazie.

Manuel l'accese.

- Fumi? - disse, offrendo il fiammifero a Retana.

- No, - disse Retana con un cenno della mano. -Non fumo mai.

Retana guardò Manuel che fumava.

- Perché non ti cerchi un impiego e non ti metti a lavorare? - disse.

- Non voglio lavorare, - disse Manuel. -Sono un torero, io.

- Di toreri non ce ne sono più, - disse Retana.

- Io sono un torero, - disse Manuel.

- Sì, quando sei là dentro, - disse Retana. Manuel rise.

Retana restò seduto, senza dir niente e guardando Manuel.

- Ti metto in una notturna, se vuoi, - propose Retana.

- Quando? - chiese Manuel.

- Domani sera.

- Non faccio la riserva di nessuno, - disse Manuel. Era così che si facevano ammazzare, tutti quanti.

Così si era fatto ammazzare Salvador. Manuel tamburellò con le nocche sul tavolo.

- È tutto quello che ho, - disse Retana.

- Perché non mi metti nella settimana prossima? - suggerì Manuel.

- Non verrebbe nessuno, - disse Retana. -Vogliono solo Litri e Rubito e La Torre. Sono in gamba, quei ragazzi.

- Il mio rientro verrebbero a vederlo, - disse Manuel, pieno di speranza.

- No che non verrebbero. Non sanno più chi sei.

- Conosco il mio mestiere, - disse Manuel.

- Se vuoi, ti metto per domani sera, - disse Retana. -Puoi lavorare col giovane Hernàndez e ammazzare due novillos dopo i Charlot.

- Di chi sono questi novillos? - chiese Manuel.

- Non so. Quello che hanno nei corral. Quello che i veterinari boccerebbero di giorno.

- Non mi piace fare la riserva, - disse Manuel.

- Prendere o lasciare, - disse Retana. Si sporse in avanti sopra le carte. La cosa non lo interessava più. La simpatia che per un attimo Manuel aveva risvegliato in lui, quando aveva pensato ai vecchi tempi, era svanita. Lo avrebbe preso volentieri come sostituto di Larita perché poteva averlo per poco. Anche altri si potevano avere per poco. Pure, lo avrebbe aiutato volentieri. L'occasione gliel'aveva offerta. Ora stava a lui.

- Quanto prendo? - domandò Manuel. Si trastullava ancora con l'idea di rifiutare. Ma sapeva di non poterselo permettere.

- Duecentocinquanta pesetas, - disse Retana. Aveva pensato a cinquecento, ma quando aprì la bocca questa disse duecentocinquanta.

- A Villalta ne dai settemila, - disse Manuel.

- Tu non sei Villalta, - disse Retana.

- Lo so, - disse Manuel.

- Villalta richiama il pubblico, Manolo, - disse Retana a mo' di spiegazione.

- Certo, - disse Manuel. Si alzò. -Dammene trecento.

- D'accordo, - acconsentì Retana. Cercò un pezzo di carta nel cassetto.

- Posso averne subito cinquanta? - chiese Manuel.

- Certo, - disse Retana. Tolse dal portafoglio un biglietto da cinquanta pesetas e lo posò, ben steso, sul tavolo.

Manuel lo prese e se lo mise in tasca.

- E la cuadrilla? - domandò.

- Sono i ragazzi che mi fanno tutte le notturne, - disse Retana. -Sono in gamba.

- E i picadores? - chiese Manuel.

- Non valgono granché, - ammise Retana.

- Mi serve un buon picador, - disse Manuel.

- Tròvatelo, - disse Retana. -Vattelo a cercare.

- Non con questi, - disse Manuel. -Non pago nessuna cuadrilla con sessanta duros.

Retana non disse nulla, ma guardò Manuel da dietro la grande scrivania.

- Lo sai che devo avere almeno un buon picador, - disse Manuel. Retana non disse nulla, ma guardava Manuel da molto lontano.

- Non è giusto, - disse Manuel.

Retana lo stava ancora studiando, con le spalle appoggiate alla poltrona, lo stava studiando da molto lontano.

- Sono i soliti picadores, - suggerì.

- Lo so, - disse Manuel. -Li conosco, i tuoi picadores.

Retana non sorrise. Manuel capì che il colloquio era finito.

- Voglio solo una battaglia ad armi pari, - disse Manuel in tono ragionevole. -Quando sarò là fuori, gli ordini al toro voglio poterli dare io. Per questo basta un buon picador.

Stava parlando a un uomo che non lo ascoltava più.

- Se vuoi qualcosa extra, - disse Retana, -vattela a cercare. Nell'arena ci sarà una cuadrilla regolamentare. Portati tutti i picadores che vuoi. La charlotada finisce alle dieci e mezzo.

- D'accordo, - disse Manuel. -Se la pensi così.

- Così, - disse Retana.

- Ci vediamo domani sera, - disse Manuel.

- Ci sarò, - disse Retana.

Manuel raccolse la valigia e uscì.

- Chiudi la porta, - esclamò Retana.

Manuel si voltò indietro. Retana stava guardando delle carte, curvo sulla scrivania. Manuel tirò la porta finché sentì uno scatto.

Scese le scale e uscì nel caldo e nella luce della strada. Nella strada faceva molto caldo, e la luce sugli edifici bianchi era dura e improvvisa nei suoi occhi. Manuel scese verso la Puerta del Sol camminando sul lato in ombra della strada scoscesa. L'ombra era fresca e compatta come acqua corrente. Il calore lo investiva all'improvviso quando attraversava gli incroci. Fra tutte le persone che incontrò, Manuel non ne vide una sola di sua conoscenza.

Poco prima della Puerta del Sol entrò in un caffè.

Nel caffè tutto era tranquillo. C'erano alcuni uomini seduti ai tavoli contro il muro. A un tavolo quattro uomini giocavano a carte.

Quasi tutti gli uomini sedevano fumando contro il muro, con tazzine da caffè e bicchieri da liquore vuoti sui tavoli davanti a loro.

Manuel attraversò la sala fino a una saletta sul retro. Un uomo dormiva seduto a un tavolo nell'angolo. Manuel si sedette a uno dei tavoli.

Un cameriere entrò nella saletta e si fermò accanto al tavolo di Manuel.

- Hai visto Zurito? - gli chiese Manuel.

- Era qui prima di pranzo, - rispose il cameriere. -Non tornerà prima delle cinque.

- Portami del caffellatte e un bicchierino del solito, - disse Manuel.

Il cameriere rientrò nella saletta portando un vassoio con un grosso bicchiere da caffè e un bicchiere da liquore. Nella sinistra aveva una bottiglia di brandy. Con un largo gesto depose questa roba sul tavolo, e un ragazzo che lo aveva seguito versò il caffè e il latte nel bicchiere da due bricchi lucenti con il beccuccio e il manico lungo.

Manuel si tolse il berretto e il cameriere notò il suo codino appuntato in avanti sulla testa. Manuel strizzò l'occhio al ragazzo mentre il ragazzo versava il brandy nel bicchierino accanto al caffè di Manuel. Il ragazzo guardò incuriosito la faccia pallida di Manuel.

- Combatte qui? - chiese il cameriere, tappando la bottiglia.

- Sì, - disse Manuel. -Domani.

Il cameriere stava là in piedi, tenendosi la bottiglia su un fianco.

- È nei Charlie Chaplin? - domandò.

Il ragazzo distolse gli occhi, imbarazzato.

- No. Nella normale.

- Credevo che ci fossero Chaves e Hernàndez, - disse il cameriere.

- No. Io e un altro.

- Chi? Chaves o Hernàndez?

- Hernàndez, credo.

- Cos'ha, Chaves?

- Si è fatto male.

- Chi glielo ha detto?

- Retana.

- Ehi, Luis, - gridò il cameriere verso l'altra sala, -Chaves ha buscato una cogida.

Manuel aveva tolto le cartine alle zollette di zucchero e le aveva lasciate cadere nel caffè. Lo mescolò e lo bevve d'un fiato, dolce, caldo e corroborante nel suo stomaco vuoto. Bevve in un sorso anche il brandy.

- Dammi un altro bicchierino di quello, - disse al cameriere.

Il cameriere stappò la bottiglia e riempì il bicchiere, spandendo il brandy nel piattino. Un altro cameriere si era piazzato davanti al tavolo. Il ragazzo era andato via.

- Si è fatto male, Chaves? - chiese a Manuel il secondo cameriere.

- Non so, - disse Manuel. -Retana non l'ha detto.

- Sai quanto gliene importa, - disse il cameriere alto. Manuel non lo aveva mai visto. Doveva essere nuovo.

- In questa città se sei con Retana sei un uomo arrivato, - disse il cameriere alto. -Se non sei con lui, puoi anche spararti.

- L'hai detto, - disse l'altro cameriere che era entrato. -Proprio così.

- Certo che è così, - disse il cameriere alto. -So quello che dico quando parlo di quell'uomo.

- Guarda quello che ha fatto per Villalta, - disse il primo cameriere.

- E non è tutto, - disse il cameriere alto. -Guarda cos'ha fatto per Marcial Lalanda. Guarda cos'ha fatto per Nacional.

- L'hai detto, ragazzo, - riconobbe il cameriere basso.

Manuel li guardava, là in piedi davanti al suo tavolo. Aveva bevuto il suo secondo brandy. I camerieri si erano dimenticati di lui. Non li interessava.

- Guarda quel branco di cammelli, - continuò il cameriere alto. -Hai mai visto questo Nacional II?

- L'ho visto domenica scorsa, no? - disse il primo cameriere.

- È una giraffa. - disse il cameriere basso.

- Che ti dicevo? - disse il cameriere alto. -Sono i ragazzi di Retana.

- Ehi, dammi un altro bicchierino di quello, - disse Manuel. Mentre parlavano, aveva versato nel bicchiere il brandy spanto dal cameriere nel piattino e se l'era bevuto.

Il primo cameriere gli riempì meccanicamente il bicchiere, e poi uscirono chiacchierando dalla stanza, tutt'e due.

Nell'angolo opposto l'uomo dormiva ancora, russando lievemente quando respirava, con la testa rovesciata all'indietro, contro il muro.

Manuel bevve il suo brandy. Aveva sonno anche lui. Faceva troppo caldo per uscire. Per di più, non c'era niente da fare. Voleva vedere Zurito. Nell'attesa avrebbe fatto un pisolino. Diede un calcio alla valigia sotto il tavolo per accertarsi che fosse là. Forse sarebbe stato meglio rimetterla sotto il sedile, contro il muro. Si chinò e la spinse sotto. Poi mise le braccia sul tavolo e si addormentò.

Quando si svegliò c'era qualcuno seduto al tavolo davanti a lui.

Era un omone con una faccia bruna e pesante che sembrava quella di un indiano. Era seduto lì da un po' di tempo. Aveva allontanato il cameriere con un cenno e stava leggendo il giornale e ogni tanto abbassava gli occhi su Manuel, che dormiva con la testa sul tavolo.

Leggeva il giornale laboriosamente, formando le parole con le labbra mentre leggeva. Quando la lettura lo stancava, guardava Manuel.

Sedeva pesantemente sulla sedia, col nero cappello di Cordoba calato sulla fronte. Manuel drizzò la schiena e lo guardò.

- Ciao, Zurito, - disse.

- Ciao, ragazzo, - disse l'omone.

- Ho dormito.

Manuel si strofinò la fronte col dorso del pugno.

- Pareva anche a me.

- Come va?

- Bene. E tu?

- Così così.

Tacquero, tutt'e due. Zurito, il picador, guardava il volto pallido di Manuel. Manuel guardava le mani enormi del picador che piegavano il giornale per riporlo in una delle sue tasche.

- Ho un favore da chiederti, Manos, - disse Manuel.

Manosduros era il soprannome di Zurito, che non lo poteva mai sentire senza pensare alle sue mani enormi. Imbarazzato, le posò sul tavolo.

- Beviamo qualcosa, - disse.

- Certo. - disse Manuel.

Il cameriere venne e andò via e venne di nuovo. Uscì dalla stanza voltandosi indietro a guardare i due uomini al tavolo.

- Cosa c'è, Manolo? - Zurito depose il bicchiere.

- Piccheresti due tori per me domani sera? - chiese Manuel, alzando lo sguardo a Zurito di là dal tavolo.

- No, - disse Zurito. -Non lavoro più.

Manuel abbassò gli occhi al bicchiere. Si aspettava quella risposta; ora l'aveva. Sì, l'aveva.

- Mi spiace, Manolo, ma non lavoro più.

Zurito si guardò le mani.

- Va bene, - disse Manuel.

- Sono troppo vecchio, - disse Zurito.

- Era solo una domanda, - disse Manuel.

- È la notturna di domani?

- Sì. Pensavo di potermela cavare, se solo avessi un buon picador.

- Quanto ti danno?

- Trecento pesetas.

- Prendo di più io facendo il picador.

- Lo so, - disse Manuel. -Non avevo il diritto di chiedertelo.

- Perché continui a farlo? - chiese Zurito. -Perché non ti tagli la coleta, Manolo?

- Non so, - disse Manuel.

- Hai quasi la mia età, - disse Zurito.

- Non so, - disse Manuel. -Devo farlo. Se riesco a fare in modo da combattere ad armi pari, non chiedo altro. Devo continuare, Manos.

- No, non è vero.

- Sì, è vero. Ho già provato a starne lontano.

- Lo so quello che provi. Ma non è giusto. Dovresti smettere e non ricominciare.

- Non posso farlo. E poi, ultimamente sono andato bene.

Zurito lo guardò in faccia.

- Sei andato all'ospedale.

- Ma andavo come il vento quando il toro mi ha ferito.

Zurito non disse niente. Si versò nel bicchiere il cognac rovesciato sul piattino.

- I giornali hanno detto che non si era mai vista una faena migliore, - disse Manuel. Zurito lo guardò.

- Sai che quando mi ci metto sono in gamba, - disse Manuel.

- Sei troppo vecchio, - disse il picador.

- No, - disse Manuel. -Tu hai dieci anni più di me.

- Per me è diverso.

- Non sono troppo vecchio, - disse Manuel. Tacquero, e Manuel studiava il viso del picador.

- Andavo forte quando mi ha ferito, - tentò Manuel. -Avresti dovuto vedermi, Manos, - disse, in tono di rimprovero.

- Non ho nessuna voglia di vederti, - disse Zurito. -M'innervosisce.

- Non mi hai visto ultimamente.

- Ti ho visto anche troppo. Zurito guardò Manuel, evitando i suoi occhi.

- Dovresti smettere, Manolo.

- Non posso, - disse Manuel. -Adesso vado forte, te lo dico io.

Zurito si sporse in avanti, con le mani sul tavolo.

- Senti. Io ti faccio da picador, ma se domani sera non fai scintille la pianti. Intesi? Lo farai?

- Certo.

Zurito si appoggiò alla spalliera, sollevato.

- Devi smettere, - disse. -Niente scherzi. Devi tagliarti la coleta.

- Non sarà necessario, - disse Manuel. -Vedrai. Conosco il mio mestiere.

Zurito si alzò in piedi. Era stanco di discutere.

- Devi smettere, - disse. -Ti taglierò la coleta con le mie mani.

- Non lo farai, - disse Manuel. -Non ce ne sarà motivo.

Zurito chiamò il cameriere.

- Andiamo, - disse Zurito. -Andiamo a casa.

Manuel prese la valigia da sotto il sedile. Era felice. Sapeva che Zurito gli avrebbe fatto da picador. Era il miglior picador che esistesse. Tutto era semplice, ormai.

- Andiamo a casa a mangiare, - disse Zurito.

Manuel aspettava nel patio de caballos che i Charlie Chaplin avessero finito. Zurito era al suo fianco. Dove stavano loro era buio. Il portone che dava nell'arena era chiuso. Sopra la testa udirono un boato, poi uno scoppio di risa. Poi tornò il silenzio. A Manuel piaceva l'odore delle stalle intorno al patio de caballos. Era un buon odore, al buio. Dall'arena arrivò un altro boato, e poi gli applausi, applausi prolungati, che durarono parecchio.

- Li hai mai visti questi tipi? - chiese Zurito, stagliandosi in tutta la sua mole vicino a Manuel nell'oscurità.

- No, - disse Manuel.

- Sono piuttosto divertenti, - disse Zurito. Nel buio sorrise tra sé.

L'ermetico portone a due battenti che dava nell'arena si aprì e Manuel vide l'arena nella luce dei riflettori, con la plaza, buia, che si alzava tutt'intorno. Ai bordi dell'arena correvano e s'inchinavano due uomini vestiti da vagabondi, seguiti da un terzo nell'uniforme da fattorino d'albergo che si fermava a raccogliere i cappelli e i bastoni da passeggio gettati sulla sabbia e li rilanciava sugli spalti, nel buio.

Nel patio si accese la luce elettrica.

- Monterò su uno di quei pony, mentre raduni i ragazzi, - disse Zurito.

Dietro di loro si udirono i sonagli dei muli che uscivano dal patio per entrare nell'arena ed essere attaccati al toro morto.

I membri della cuadrilla, che avevano assistito alla comica dalla rampa tra la barrera e i posti a sedere, tornarono indietro e si misero a parlare tra loro, formando un capannello, sotto la luce elettrica del patio. Un bel ragazzo in un costume argento e arancione si accostò a Manuel e sorrise.

- Sono Hernàndez. - disse, e tese la mano. Manuel la strinse.

- Sono degli autentici elefanti quelli che abbiamo stasera, - disse allegramente il ragazzo.

- Grossi e con le corna, - riconobbe Manuel.

- Ti è toccato il lotto peggiore, - disse il ragazzo.

- Non importa, - disse Manuel. -Più grossi sono, più carne per i poveri.

- Dove l'hai sentita? - disse Hernàndez sorridendo.

- È vecchia, - disse Manuel. -Schiera la cuadrilla, che possa vedere chi sono.

- Sono dei bravi ragazzi, - disse Hernàndez. Era molto allegro. Aveva lavorato già due volte nelle notturne e a Madrid cominciava ad avere una certa notorietà. Era lieto che la corrida cominciasse di lì a qualche minuto.

- Dove sono i picadores? - chiese Manuel.

- Nei corral a disputarsi i cavalli migliori, - disse Hernàndez con un sorriso.

I muli varcarono il portone di slancio, con le fruste che schioccavano, i sonagli che tintinnavano e il torello che scavava un solco nella sabbia.

Come il toro fu passato, tutti andarono ai loro posti per il paseo.

Manuel e Hernàndez erano in testa. Dietro c'erano i giovani della cuadrilla, con le pesanti cappe arrotolate sul braccio. In fondo i quattro picadores, a cavallo, con le lance dalla punta d'acciaio diritte nella penombra del corral.

- Non capisco perché Retana non ci dà abbastanza luce per vedere i cavalli, - disse un picador.

- Sa che saremo più contenti se non guardiamo questi ronzini troppo bene, - rispose un altro picador.

- Quello che monto io ce la fa appena a tenermi su, - disse il primo picador.

- Be', sono cavalli.

- Già, sono cavalli.

Parlavano, seduti al buio sulle loro bestie macilente.

Zurito non disse nulla. Aveva l'unico cavallo decente. Lo aveva provato, facendolo girare nel recinto, e aveva visto che rispondeva al morso e agli speroni. Gli aveva tolto la benda che gli copriva l'occhio destro e aveva tagliato le cordicelle con cui, per chiuderle, gli avevano legato le orecchie alla radice. Era un buon cavallo, robusto, ben piantato sulle zampe. Zurito non aveva bisogno d'altro. Intendeva farlo arrivare alla fine della corrida.

Mentalmente, da quando gli era montato in groppa, e aspettava il paseo seduto nella semioscurità sulla grande sella imbottita, Zurito aveva già combattuto l'intera corrida. A destra e a sinistra gli altri picadores continuavano a parlare. Zurito non li udiva.

I due matadores stavano, insieme, davanti ai loro tre peones, con le cappe arrotolate nello stesso modo sul braccio sinistro. Manuel pensava ai tre ragazzi alle sue spalle. Erano madrileni tutt'e tre, come Hernàndez, ragazzi sui diciannove anni. Di uno, un gitano, serio, scuro in volto e riservato, gli piaceva l'aspetto. Si voltò.

- Come ti chiami, ragazzo? - chiese al gitano.

- Fuentes, -  disse il gitano.

- Bel nome, - disse Manuel.

Il gitano sorrise, mostrando i denti.

- Prendi il toro e fagli fare una corsetta, appena esce, - disse Manuel.

- Va bene, - disse il gitano. Il suo viso era serio. Cominciava a pensare a quello che avrebbe dovuto fare.

- Tocca a noi, - Manuel disse a Hernàndez.

- Bene. Andiamo.

A testa alta, a tempo di musica, dondolando il braccio destro, entrarono nell'arena, attraversando la distesa di sabbia sotto i riflettori, con la cuadrilla schierata alle loro spalle, i picadores dietro e in fondo gli inservienti e i muli tintinnanti. La folla applaudì Hernàndez, mentre marciavano attraverso l'arena. Arroganti, veloci, marciando tenevano lo sguardo fisso davanti a sé.

S'inchinarono davanti al presidente, e il corteo si sciolse. I toreri si accostarono alla barrera per scambiare i loro pesanti mantelli con le leggere cappe da corrida. I muli uscirono. I picadores galopparono a scatti per l'arena, e due uscirono dalla porta da cui erano entrati. Gli inservienti spazzarono la sabbia per togliere le impronte.

Manuel bevve un bicchier d'acqua versatogli da uno dei delegati di Retana, che gli faceva da manager e portaspada. Hernàndez lo raggiunse dopo aver parlato col suo manager.

- Ti hanno fatto una buona accoglienza, ragazzo, - si complimentò Manuel.

- Gli sono simpatico, - disse allegramente Hernàndez.

- Com'è andato il paseo? - chiese Manuel all'uomo di Retana.

- Come una marcia nuziale, - disse lui. -Bene. Siete usciti come Joselito e Belmonte.

Zurito passò di lì, ingombrante statua equestre. Tirò le redini e girò il cavallo, col muso rivolto al toril in fondo all'arena donde sarebbe uscito il toro. Che strano, sotto i riflettori. Zurito lavorava, per un mucchio di quattrini, sotto il sole cocente del pomeriggio. Non gli piaceva, questa storia dei riflettori. Non vedeva l'ora che si cominciasse.

Manuel gli si avvicinò.

- Straccialo, Manos, - disse. -Fagli abbassare la cresta.

- Sta' tranquillo, ragazzo.

Zurito sputò sulla sabbia.

- Lo farò saltar fuori dall'arena.

- Dacci dentro, Manos, - disse Manuel.

- Va bene, - disse Zurito. -Cosa stiamo aspettando?

- Eccolo che arriva, - disse Manuel.

Zurito restò là, con i piedi nelle staffe, le grosse gambe nell'armatura coperta di pelle di daino stretta intorno ai fianchi del cavallo, le redini nella mano sinistra, la lunga lancia nella mano destra, il cappello a larghe tese ben calcato sugli occhi per schermarli dai riflettori, a guardare la porta lontana del toril. Al suo cavallo tremavano le orecchie. Zurito gli fece una carezza con la mano sinistra.

La porta rossa del toril si spalancò e per un attimo Zurito affondò lo sguardo nel corridoio vuoto di là dall'arena. Poi il toro uscì di slancio, scivolando sulle zampe mentre entrava nella luce dei riflettori, quindi partendo al galoppo, muovendosi armoniosamente in un galoppo sostenuto, silenzioso tranne che per gli sbuffi che gli uscivano dalle narici dilatate quando caricava, lieto di essere libero dopo il buio del recinto.

Nella prima fila di poltrone, un po' annoiato, sporgendosi in avanti per scrivere sul muro di cemento che sfiorava con le ginocchia, il vicecritico di corride di «El Heraldo» scribacchiò:

«Campañero, negro, 42, usciva a tutto vapore, a centocinquanta chilometri l'ora…».

Manuel, appoggiato alla barrera, gli occhi sul toro, fece un cenno con la mano e il gitano corse via, tirandosi dietro la cappa. Il toro, in pieno galoppo, girò su se stesso e caricò la cappa a testa bassa, con la coda ritta. Il gitano procedeva a zigzag, e mentre passava il toro lo avvistò e abbandonò la cappa per gettarsi addosso all'uomo. Il gitano si mise a correre e saltò il rosso steccato della barrera mentre il toro lo colpiva con le corna. Due volte lo prese a cornate, percuotendo il legno alla cieca.

Il critico di «El Heraldo» accese una sigaretta e gettò il fiammifero al toro, poi scrisse nel suo taccuino: «Grande e munito di corna che dovrebbero contentare gli spettatori paganti, Campañero mostrava la tendenza a tagliare la strada ai toreri».

Manuel avanzò sulla sabbia compatta mentre il toro si avventava contro lo steccato. Con la coda dell'occhio vide Zurito sul cavallo bianco vicino alla barrera, a sinistra, a un quarto dell'arena.

Manuel tenne la cappa raccolta davanti a sé, con una cocca per mano, e urlò al toro: «Uh! Uh!». Il toro si voltò e parve appoggiarsi allo steccato per prendere lo slancio, poi si avventò sulla cappa mentre Manuel faceva un passo laterale, girava sui tacchi all'arrivo del toro, e gli sventolava la cappa davanti alle corna. Alla fine di quel movimento si trovò nuovamente di fronte al toro e tenne la cappa nella stessa posizione, raccolta davanti al corpo, e fece un'altra rotazione mentre il toro tornava a caricare. Ogni volta che sventolava la cappa davanti al toro dalla folla si alzava un boato.

Quattro volte ripeté la manovra, alzando la cappa in modo tale da spiegarla interamente, e ogni volta facendo girare il toro per costringerlo a caricare di nuovo. Poi, alla fine del quinto passaggio, Manuel tenne la cappa contro l'anca e girò su se stesso, dimodoché la cappa si aprì come la gonna di una ballerina e fece girare il toro su se stesso come una cintura, per poi trarsi in disparte, lasciando il toro alle prese con Zurito sul suo cavallo bianco, che nel frattempo si era fatto sotto e aveva piantato saldamente gli zoccoli nell'arena, il cavallo di fronte al toro, con le orecchie tese e le labbra frementi, Zurito piegato in avanti, con il cappello sugli occhi e la lunga asta inclinata sotto il braccio destro, con la punta triangolare di ferro, bassa, davanti al toro.

Il critico in seconda di «El Heraldo», aspirando il fumo dalla sigaretta, gli occhi sul toro, scrisse: «Il vecchio Manolo eseguiva una serie di passabili veronicas, concluse da un recorte molto alla Belmonte che strappava un applauso agli aficionados, e siamo entrati nel tercio dei picadores».

Zurito stava in sella al suo cavallo, misurando la distanza fra il toro e la punta della picca. Mentre guardava, il toro raccolse tutte le sue forze e caricò, gli occhi sul petto del cavallo. Mentre abbassava la testa per colpire, Zurito affondò la punta della lancia nella massa di muscoli rigonfi sopra la spalla del toro, si appoggiò all'asta con tutto il suo peso, e con la sinistra fece impennare il cavallo, che annaspò nell'aria con gli zoccoli anteriori, e gli fece fare uno scarto sulla destra mentre spingeva il toro prima sotto e poi via, dimodoché le corna passarono senza far danno sotto il ventre del cavallo e il cavallo abbassò le zampe, fremendo, con la coda del toro che gli sfiorava il petto mentre il toro si avvicinava alla cappa presentatagli da Hernàndez.

Hernàndez correva di traverso, portandosi via il toro con la cappa, verso l'altro picador. Lo fermò con un volteggio della cappa, proprio davanti al cavallo e al cavaliere, e fece un passo indietro. Quando il toro vide il cavallo caricò. La lancia del picador gli scivolò sul dorso, e mentre la violenza della carica sollevava il cavallo da terra, il picador era già mezzo fuori dalla sella, alzando la gamba destra, per liberarla, mentre mancava il colpo di lancia, e cadeva sul fianco sinistro per tenere il cavallo tra lui e il toro. Il cavallo, sollevato da terra e sbudellato, si rovesciò col toro che si accaniva contro di lui, e il picador, per non farsi schiacciare, si diede una spinta con gli stivali e cadde sulla sabbia, dove attese che lo sollevassero e lo portassero via e lo rimettessero in piedi.

Manuel lasciò che il toro si accanisse contro il cavallo caduto; non aveva fretta, il picador era al sicuro; e poi gli faceva bene, a un picador come quello, preoccuparsi. La prossima volta avrebbe aspettato un po' di più, prima di cadere. Che schifezza di picadores!

Guardò Zurito di là dall'arena, un po' discosto dalla barrera, sul cavallo rigido, in attesa.

- Uh! - gridò al toro «Tomar!» tenendo la cappa con ambo le mani per richiamarne l'attenzione. Il toro si staccò dal cavallo e si avventò contro la cappa, e Manuel, correndo di traverso e tenendo la cappa spiegata, si fermò, girò sui tacchi e portò bruscamente il toro davanti a Zurito.

«Campañero incassava un paio di colpi di varas per la morte di un ronzino, con Hernàndez e Manolo alle quites» scrisse il critico di «El Heraldo». «Schivava il ferro e dimostrava chiaramente di non amare troppo i cavalli. L'anziano Zurito tirava fuori qualche bel colpo di lancia dal suo vecchio repertorio, e in particolare la suerte…»

- Olé! Olé! - urlava l'uomo seduto accanto a lui. L'urlo si perse nel boato della folla, e l'uomo diede al critico una manata sulle spalle.

Il critico alzò gli occhi e vide Zurito, proprio sotto di lui, tutto proteso sopra il suo cavallo, con quasi tutta l'asta della lancia puntata verso il cielo da sotto l'ascella, che stringeva la lancia quasi per la punta, gravandovi sopra con tutto il suo peso, e teneva a bada il toro, il toro che spingeva e cercava di raggiungere il cavallo, e Zurito che, lontano, sopra di lui, lo tratteneva, continuava a trattenerlo, e lentamente faceva ruotare il cavallo sotto pressione finché non aveva schivato le corna del toro. Zurito sentì il momento in cui il cavallo non correva più pericoli e il toro poteva passare, e allentò la ferrea stretta della sua resistenza, e la punta d'acciaio triangolare della lancia affondò nella massa di muscoli della spalla del toro mentre questo si avventava sulla cappa che Hernàndez gli aveva sciorinato sotto il muso. Il toro caricò quella cappa alla cieca e il ragazzo lo ricondusse verso il centro dell'arena.

Zurito si fermò a carezzare il cavallo e a guardare il toro che inseguiva la cappa offertagli da Hernàndez sotto la luce viva, mentre la folla urlava.

- Visto? - disse a Manuel.

- Una meraviglia, - disse Manuel.

- Stavolta l'ho beccato, - disse Zurito. -Guardalo adesso.

Alla fine di un passaggio, costretto dalla cappa a fare una brusca giravolta, il toro scivolò sulle ginocchia. Si rimise subito in piedi, ma lontano, in mezzo all'arena, Manuel e Zurito videro luccicare il sangue che usciva a fiotti dal corpo del toro, chiaro sul nero della sua spalla.

- Stavolta l'ho beccato, - disse Zurito.

- È un toro in gamba, - disse Manuel.

- Se mi lasciassero fare un altro tentativo, lo ammazzerei, - disse Zurito.

- È il nostro tercio, - disse Manuel.

- Guardalo adesso, - disse Zurito.

- Devo andare laggiù, - disse Manuel, e si mise a correre verso l'altro lato dell'arena, dove i monos tiravano un cavallo per le briglie verso il toro, picchiandolo sulle zampe con i bastoni nel tentativo di farlo andare verso il toro, che indugiava, scuotendo la testa, scalpitando, senza decidersi a caricare.

Zurito, in sella al suo cavallo, dirigendolo pian piano verso quella scena, senza perdere un dettaglio, aggrottò le sopracciglia.

Finalmente il toro andò alla carica, i monos corsero alla barrera, il picador colpì troppo indietro, e il toro s'infilò sotto il cavallo, lo sollevò, se lo buttò sul dorso.

Zurito guardava. I monos, nelle loro camicie rosse, che correvano a trarre in salvo il picador. Il picador che, rimessosi in piedi, bestemmiava e agitava le braccia. Manuel e Hernàndez che si tenevano pronti con le cappe. E il toro, il grande toro nero, con un cavallo sul dorso, gli zoccoli penzoloni, la briglia impigliata nelle corna.

Il toro nero con un cavallo sul dorso, che vacillava sulle zampe corte, quindi inarcava il collo e alzava la testa, spingeva, sgroppava per liberarsi del cavallo, e il cavallo che scivolava giù.

Poi il toro che si avventava sulla cappa spiegatagli davanti da Manuel. Manuel sentiva che ora il toro era più lento. Perdeva molto sangue.

Su tutto il fianco aveva un luccichio di sangue.

Manuel tornò a mostrargli la cappa. Ed eccolo arrivare, con gli occhi aperti, cattivi, fissi sulla cappa.

Manuel fece un passo di lato e alzò le braccia, stringendo la cappa davanti al toro per la veronica.

Adesso era davanti al toro. Sì, la sua testa cominciava ad abbassarsi. Girava con la testa un po' più bassa. Merito di Zurito.

Sventolò la cappa; eccolo che viene; fece un passo di lato ed eseguì un'altra veronica. È molto preciso nelle sue cariche, pensava. Ne ha abbastanza di combattere, perciò adesso sta attento.

Va a caccia, adesso. Mi sorveglia. Ma io gli do sempre la cappa.

Scosse la cappa verso il toro; eccolo che viene; fece un passo laterale. Vicinissimo, stavolta. Non voglio stargli così vicino.

L'orlo della cappa, dove aveva sfiorato il dorso del toro che passava, era bagnato di sangue. Bene, ecco l'ultima.

Manuel, davanti al toro, dopo aver girato su se stesso a ogni carica insieme a lui, gli offrì la cappa con ambo le mani. Il toro lo guardò. Con gli occhi fissi, le corna puntate in avanti, il toro lo guardava, attentissimo.

- Uh! - disse Manuel. -Toro!

E piegandosi all'indietro sventolò la cappa. Eccolo che viene. Fece un passo laterale, spiegò la cappa alle proprie spalle e girò su se stesso, così il toro seguì il moto vorticoso della cappa e poi rimase con un pugno di mosche, paralizzato da quel movimento, soggiogato dalla cappa. Manuel con una mano gli agitò la cappa sotto il muso, per far vedere che il toro era inciucchito, e si allontanò.

Non ci fu nessun applauso.

Manuel camminò sulla sabbia verso la barrera, mentre Zurito usciva dall'arena. Mentre Manuel lavorava col toro, era suonata la tromba che annunciava il momento dei banderilleros. Manuel non se n'era neanche accorto. I monos stavano stendendo un telo sopra i due cavalli morti e spargendo segatura intorno a loro.

Manuel si accostò alla barrera per bere un goccio d'acqua. L'uomo di Retana gli porse il pesante orcio poroso.

Fuentes, il gitano alto, era lì con due banderillas in mano, e le teneva unite, bacchette rosse e sottili, con i rampini delle punte in fuori. Guardò Manuel.

- Va' pure, - disse Manuel.

Il gitano trottò via. Manuel depose l'orcio e si mise a guardare. Si asciugò il viso col fazzoletto.

Il critico di «El Heraldo» prese la bottiglia di champagne tiepido che aveva tra i piedi, bevve un sorso, e finì il paragrafo.

«…con una serie di lances grossolane l'anziano Manolo non si guadagnava alcun applauso, e così siamo entrati nel tercio de banderillas.» Il toro era fermo in mezzo all'arena, solo, sempre immobile.

Fuentes, alto e impettito, camminava con arroganza verso di lui, le braccia aperte, le sue esili bacchette rosse, una per mano, tenute con le dita, la punta in avanti. Fuentes continuava e camminare.

Dietro di lui e da un lato c'era un peon con la cappa. Il toro lo guardò e uscì dal suo stupore.

I suoi occhi seguivano Fuentes, che ora stava immobile. Poi Fuentes si sporse all'indietro, aizzandolo. Mosse le due banderillas e le punte d'acciaio luccicarono davanti agli occhi del toro.

Il toro rizzò la coda e caricò.

Partì in linea retta, gli occhi sull'uomo. Fuentes era immobile, piegato all'indietro, con le banderillas puntate in avanti. Quando il toro abbassò la testa per dare la cornata, Fuentes si sporse all'indietro, unendo e alzando le braccia, con le mani che si toccavano e le banderillas che venivano giù come due frecce rosse, e sporgendosi in avanti ficcò le punte nella spalla del toro, sporgendosi ben oltre le corna del toro e facendo perno sulle due bacchette verticali, le gambe unite, il corpo curvato da una parte per far passare il toro.

- Olé! - dalla folla.

Il toro dava frenetiche cornate, saltando come una trota, le quattro zampe in aria. Le rosse bacchette delle banderillas si piegavano ogni volta che saltava.

Manuel, fermo vicino alla barrera, notò che il toro guardava sempre a destra.

- Digli di piazzare la prossima coppia sulla destra, - disse al ragazzo che partiva di corsa per dare a Fuentes le nuove banderillas.

Una mano pesante gli si posò sulla spalla. Era Zurito.

- Come ti senti, ragazzo? - domandò. Manuel studiava il toro.

Zurito si appoggiò alla barrera, scaricando il peso del corpo sulle braccia. Manuel si girò verso di lui.

- Vai bene, - disse Zurito.

Manuel scosse la testa. Non aveva niente da fare, adesso, fino al prossimo tercio. Il gitano era bravissimo con le banderillas. Il toro, nel prossimo tercio, sarebbe stato cotto a puntino. Era un bel toro. E finora era stato tutto facile. Era l'ultima parte che lo preoccupava, quella con la spada. Non che fosse veramente preoccupato. Non ci pensava nemmeno. Ma stando là, vicino alla barrera, provava un forte senso di apprensione. Guardò il toro pensando alla faena, al lavoro col panno rosso che doveva sfiancare il toro, soggiogarlo.

Il gitano stava tornando ad avviarsi verso il toro, camminando come un marciatore, con l'aria insolente di un ballerino da locale pubblico, e le bacchette rosse delle banderillas sussultavano a ogni passo. Il toro lo guardava, non più intontito, adesso, ma cercandolo con gli occhi, aspettando che fosse abbastanza vicino per poter essere certo di colpirlo, di cacciargli in corpo le sue corna.

Mentre Fuentes avanzava il toro caricò. Fuentes, mentre il toro caricava, descrisse di corsa un quarto di cerchio e, mentre passava correndo all'indietro, si fermò, girò su se stesso, si alzò sulla punta dei piedi, le braccia tese, e affondò le banderillas nei grossi muscoli tesi della spalla, mentre il toro lo mancava.

Questo numero mandò la folla in visibilio.

- Quel ragazzo non farà le notturne ancora per molto, - disse a Zurito l'uomo di Retana.

- È in gamba, - disse Zurito.

- Guardalo adesso.

Guardarono.

Fuentes era fermo con le spalle alla barrera. Dietro di lui c'erano due della cuadrilla, pronti ad agitare le cappe sopra lo steccato per distrarre il toro.

Il toro, con la lingua fuori e il tronco che si gonfiava e si sgonfiava come un mantice, studiava il gitano. Credeva di averlo in pugno, adesso. Con le spalle alle tavole rosse. Dove una piccola carica sarebbe bastata per raggiungerlo. Il toro lo studiava.

Il gitano si piegò all'indietro, portò le braccia dietro le spalle, con le banderillas puntate verso il toro. Aizzò il toro, batté un piede per terra. Il toro era sospettoso. Voleva l'uomo. Ne aveva abbastanza di quegli uncini nella spalla.

Fuentes andò un po' più vicino al toro. Si piegò all'indietro. Tornò ad aizzarlo. Qualcuno tra la folla urlò un avvertimento.

- È troppo vicino, perdio, - disse Zurito.

- Guardalo, - disse l'uomo di Retana.

Piegandosi all'indietro, incitando il toro con le banderillas, Fuentes saltò, staccando i piedi da terra. Mentre saltava il toro rizzò la coda e caricò. Fuentes ricadde sulle punte, con le braccia tese, tutto il corpo inarcato in avanti, e abbassò le bacchette mentre girava su se stesso per schivare il corno destro.

Il toro piombò sulla barrera, dove le cappe sventolanti avevano richiamato la sua attenzione appena aveva perso di vista l'uomo.

Il gitano tornò indietro di corsa, lungo la barrera, raccogliendo gli applausi della folla. Aveva uno strappo nel panciotto, dove non era riuscito a schivare del tutto la punta del corno. Quello strappo lo rendeva felice, e il gitano lo mostrava agli spettatori. Fece il giro dell'arena. Zurito lo vide passare, sorridendo, indicando il suo panciotto. Sorrise.

Qualcun altro stava piazzando l'ultimo paio di banderillas. Nessuno ci badava.

L'uomo di Retana mise un bastone nel panno rosso di una muleta, lo avvolse nella stoffa, e lo porse a Manuel sopra la barrera. Frugò nell'astuccio di cuoio delle spade, tirò fuori una spada, e tenendola per il fodero di pelle la porse a Manuel sopra lo steccato. Manuel sfilò la lama tenendola per l'impugnatura rossa e il fodero si afflosciò.

Guardò Zurito. L'omone vide che stava sudando.

- Tocca a te, ragazzo. Finiscilo, - disse Zurito. Manuel annuì.

- È cotto a puntino, - disse Zurito.

- Proprio come lo volevi tu, - gli assicurò l'uomo di Retana.

Manuel annuì.

Il trombettiere, lassù sotto il tetto, annunciò l'ultimo atto, e Manuel attraversò l'arena fin dove, nei palchi bui, doveva esserci il presidente.

Nella prima fila di poltrone il vicecritico di corride di «El Heraldo» bevve un lungo sorso di champagne tiepido. Aveva deciso che non valeva la pena di scrivere il pezzo lì per lì. Avrebbe scritto la cronaca della corrida una volta tornato in redazione. Cosa diavolo era, dopo tutto? Solo una notturna. Se gli fosse sfuggito qualcosa, l'avrebbe preso dai giornali del mattino. Bevve un altro sorso di champagne. A mezzanotte aveva un appuntamento da Maxim. Tanto, chi erano questi toreri? Ragazzi e vagabondi. Un branco di vagabondi. Si mise in tasca il blocco e guardò verso Manuel, che stava in piedi in mezzo all'arena, tutto solo, e che si toglieva il cappello in un saluto verso un palco invisibile su nel buio della plaza. Il toro nell'arena era immobile e silenzioso, e non guardava da nessuna parte.

«Dedico questo toro a lei, signor presidente, e al pubblico di Madrid, il più intelligente e generoso del mondo» era quello che Manuel stava dicendo. Era una formula. Manuel la disse tutta. Era un po' lunga per una notturna.

S'inchinò verso il buio, si raddrizzò, si gettò il cappello dietro le spalle e, con la muleta nella mano sinistra e la spada nella destra, avanzò verso il toro.

Manuel avanzava verso il toro. Il toro lo guardava, i suoi occhi erano vivi. Manuel notò che le banderillas gli pendevano sulla spalla sinistra, e notò l'uniforme luccichio del sangue uscito dalle ferite aperte dalla lancia di Zurito. Notò la posizione degli zoccoli del toro. Mentre avanzava, con la muleta nella mano sinistra e la spada nella destra, guardava gli zoccoli del toro. Il toro non poteva caricare senza unire gli zoccoli. Ora vi stava proprio piantato sopra, con un'aria ottusa.

Manuel avanzava verso di lui, guardando gli zoccoli. Tutto bene.

Questo sapeva farlo. Doveva fargli abbassare la testa, per schivare le sue corna e ucciderlo. Non pensava alla spada, né ad ammazzare il toro. Pensava a una cosa per volta. Le cose imminenti lo opprimevano, però. Avanzando, guardando gli zoccoli del toro, vide successivamente i suoi occhi, il suo muso bagnato, e la vasta apertura delle corna puntate in avanti. Il toro aveva dei cerchi chiari intorno agli occhi. I suoi occhi guardavano Manuel. Il toro sentiva che lo avrebbe sopraffatto, quell'ometto con la faccia pallida.

Stando fermo, adesso, e spiegando il panno rosso della muleta con la spada, conficcando la punta nella stoffa in modo che la spada, ora tenuta nella mano sinistra, spiegasse la flanella rossa come il fiocco di una barca, Manuel studiò le punte delle corna del toro. Una si era scheggiata cozzando contro la barrera. L'altra era aguzza come l'aculeo di un porcospino. Manuel notò, mentre spiegava la muleta, che la base bianca del corno era macchiata di rosso. Mentre notava queste cose non perdeva di vista gli zoccoli del toro. Il toro guardava Manuel.

Ora è sulla difensiva, pensò Manuel. Si risparmia. Devo scuoterlo e costringerlo ad abbassare la testa. Fategli sempre abbassare la testa. Zurito, prima, gliel'aveva fatta abbassare, ma il toro si è ripreso. Perderà sangue quando lo farà muovere, e questo gli farò abbassare la testa.

Reggendo la muleta, con la spada nella mano sinistra che gliela spiegava davanti al corpo, Manuel aizzò il toro.

Il toro lo guardava.

Manuel si piegò all'indietro con aria insolente e scosse il panno disteso. Il toro vide la muleta. La muleta era scarlatta sotto i riflettori.

Le zampe del toro si tesero.

Eccolo che viene. Whoosh! Manuel si voltò mentre il toro arrivava e alzò la muleta per farla passare sopra le corna del toro e spazzargli, dalla testa alla coda, l'ampio dorso. Lo slancio aveva fatto fare al toro un balzo in aria. Manuel non si era mosso.

Alla fine della corsa il toro si voltò come un gatto che sbuca da un angolo e si ritrovò faccia a faccia con Manuel.

Era di nuovo all'offensiva. La stanchezza se n'era andata. Manuel notò il sangue fresco che brillava sulla spalla nera e gocciolava lungo la zampa del toro. Estrasse la spada dalla muleta e l'impugnò con la mano destra. Tenendo bassa la muleta con la sinistra, e sporgendosi da quella parte, aizzò il toro. Le zampe del toro si tesero, i suoi occhi erano sulla muleta. Eccolo che viene, pensò Manuel. Iuh!

Alla carica girò su se stesso, tenendo la muleta davanti al toro, saldo sui piedi, con la spada che seguiva la curva, un punto luminoso sotto i riflettori.

Il toro tornò alla carica mentre finiva il pase natural e Manuel sollevò la muleta per un pase de pecho. Era piantato come una roccia nell'arena, quando il toro gli sfiorò il petto sotto la muleta sollevata. Manuel buttò indietro la testa per evitare le aste sbatacchianti delle banderillas. Il corpo caldo del toro nero gli toccò il petto mentre passava.

Troppo vicino, perdio, pensò Manuel. Zurito, appoggiato alla barrera, disse in fretta qualcosa al gitano, che di corsa avanzò verso Manuel con una cappa. Zurito si calò il cappello sugli occhi e guardò Manuel dall'altra parte dell'arena.

Manuel era di nuovo davanti al toro, con la muleta tenuta bassa e a sinistra. Il toro abbassava la testa per guardare la muleta.

- Se a fare queste cose fosse stato Belmonte, sarebbero impazziti, - disse l'uomo di Retana. Zurito non disse niente. Stava guardando Manuel al centro dell'arena.

- Dove lo ha scovato, il padrone, questo tizio? - chiese l'uomo di Retana.

- Tra i dimessi dall'ospedale, - disse Zurito.

- Dove tornerà di corsa se continua così, - disse l'uomo di Retana. Zurito ebbe uno scatto.

- Tocca lì, - disse, indicando la barrera.

- Era solo uno scherzo, amico, - disse l'uomo di Retana.

- Tocca legno.

L'uomo di Retana si sporse in avanti e toccò tre volte la barrera.

- Guarda la faena, - disse Zurito.

Al centro dell'arena, sotto i riflettori, Manuel era in ginocchio davanti al toro, e quando alzò con ambo le mani la muleta il toro caricò, la coda ritta.

Manuel girò su se stesso per schivarlo e, mentre il toro tornava alla carica, descrisse con la muleta un semicerchio che mise il toro in ginocchio.

- Diamine, quello è un gran torero, - disse l'uomo di Retana.

- Macché, - disse Zurito.

Manuel si raddrizzò e, con la muleta nella mano sinistra e la spada nella destra, ricevette l'applauso della plaza buia.

Il toro si era alzato e aspettava a testa bassa.

Zurito disse qualcosa a due degli altri ragazzi della cuadrilla, che corsero a piazzarsi con le cappe dietro Manuel. Ora, dietro di lui, c'erano quattro uomini. Hernàndez lo aveva seguito subito dopo che era uscito con la muleta. Fuentes assisteva con la cappa tenuta contro il corpo, alto, disteso, guardando la scena con gli occhi socchiusi. Poi arrivarono gli altri due. Hernàndez indicò loro di piazzarsi uno per parte. Manuel, solo, era davanti al toro.

Manuel, a cenni, fece arretrare gli uomini con le cappe. Facendo cautamente un passo indietro, essi videro che il suo viso era pallido e sudato.

Non lo sapevano, che dovevano stare indietro? Volevano richiamare l'attenzione del toro con le cappe, proprio adesso che era fermo e pronto? Ne aveva già abbastanza, di pensieri, per doversi occupare anche di questo.

Il toro stava immobile, con gli zoccoli piantati nella sabbia, e guardava la muleta. Manuel arrotolò la muleta nella sinistra. Gli occhi del toro la guardavano. Il suo corpo era pesante sulle zampe.

Il toro teneva la testa bassa, ma non troppo.

Manuel alzò la muleta come per mettergliela sotto il naso. Il toro non si mosse. Solo i suoi occhi erano vigili.

È stanco, pensò Manuel. È spompato. È cotto al punto giusto. È pronto per essere infilzato.

Ragionava in termini di corrida. Certe volte aveva un'idea, e quel termine particolare non gli veniva in mente, e Manuel non poteva impadronirsi dell'idea. I suoi istinti e la sua esperienza funzionavano automaticamente, e il suo cervello funzionava lentamente e per mezzo delle parole. Sapeva tutto dei tori. Non doveva pensare a loro. Doveva solo fare la cosa giusta. I suoi occhi notavano le cose e il suo corpo, senza pensare, prendeva le misure necessarie. Se ci pensava, era perduto.

Ora, davanti al toro, Manuel era consapevole di molte cose nello stesso tempo. C'erano le corna, l'uno scheggiato, l'altro liscio e acuminato, c'era la necessità di profilarsi verso il corno sinistro, di tenersi basso e diritto, di abbassare la muleta perché il toro la seguisse e, sporgendosi sopra le corna, di piantare la spada fino all'elsa in un piccolo spazio non più grande di una moneta da cinque pesetas dietro il collo, tra le punte aguzze delle scapole del toro.

Manuel doveva fare tutto questo e poi doveva rompere il contatto passando tra le corna del toro.

Sapeva di dover fare tutto questo, ma il suo unico pensiero era in parole: «Corto y derecho».

- Corto y derecho. - pensò, arrotolando la muleta. Corto e diritto.

Corto y derecho, cavò la spada dalla muleta, si mise di profilo davanti al corno sinistro scheggiato, si coprì con la muleta in modo che la destra con la spada all'altezza dell'occhio formasse un segno di croce, e, alzandosi sulla punta dei piedi, mirò lungo la lama inclinata della spada al punto preciso tra le spalle del toro.

Corto y derecho si lanciò sul toro.

Ci fu un urto, e si sentì volare in aria. Manuel continuò a spingere sulla spada mentre si alzava in volo sopra il toro, e poi la spada gli sfuggì di mano. Manuel cadde a terra e il toro gli fu addosso. Manuel, steso a terra, tirava calci sul muso del toro con gli scarpini che aveva ai piedi. Scalciando, scalciando, inseguito dal toro, che nella sua foga lo mancava, urtandolo con la testa, piantando le corna nella sabbia. Scalciando come un uomo che tiene in aria una palla, Manuel impedì al toro di dargli un colpo ben assestato.

Manuel sentì sulla schiena il vento delle cappe che distraevano il toro, e poi il toro sparì, scavalcandolo di slancio. Buio, mentre il suo ventre gli passava sopra. Nemmeno calpestato.

Manuel si alzò in piedi e raccolse la muleta. Fuentes gli porse la spada. Si era piegata dove aveva colpito la scapola. Manuel la raddrizzò e corse verso il toro, che adesso era fermo vicino a uno dei cavalli morti. Mentre correva, il suo giubbetto svolazzava dove si era strappato sotto l'ascella.

- Portalo via di lì, - urlò Manuel al gitano. Il toro aveva sentito l'odore del sangue del cavallo morto e affondava le corna nel telo che lo copriva. Caricò la cappa di Fuentes, col telo appeso al corno scheggiato, e la folla rise. In mezzo all'arena, scosse la testa per sbarazzarsi del telo. Hernàndez, avvicinandosi da tergo, agguantò un capo del telo e glielo sfilò elegantemente dal corno.

Il toro lo seguì in una mezza carica e si fermò di colpo. Era di nuovo sulla difensiva. Manuel camminava verso di lui con la spada e la muleta. Manuel sventolò la muleta davanti a lui. Il toro non voleva caricare.

Manuel si piazzò davanti al toro, di profilo, e prese la mira lungo la lama inclinata della spada. Il toro, immobile, sembrava morto in piedi, incapace di fare un'altra carica.

Manuel si alzò sulla punta dei piedi, mirando lungo il ferro, e diede la stoccata.

Ci fu un altro cozzo, e Manuel si sentì proiettare all'indietro, ricadendo pesantemente sulla sabbia. Impossibile prenderlo a calci, questa volta. Il toro gli era addosso. Manuel giacque come se fosse morto, la testa sulle braccia, e il toro lo urtò col muso. Gli toccò la schiena, gli toccò la faccia nella sabbia. Manuel sentì il corno affondare nella sabbia tra le sue braccia piegate. Il toro lo colpì alle reni. Manuel spinse la faccia nella sabbia. Il corno gli s'infilò in una manica e il toro la strappò. Manuel fu sbattuto qua e là finché il toro lo lasciò per seguire le cappe.

Manuel si rialzò, trovò la spada e la muleta, saggiò col pollice la punta della spada, e poi corse alla barrera per farsi dare una spada nuova.

L'uomo di Retana gli porse la spada sopra la barrera.

- Pulisciti la faccia, - disse.

Manuel, correndo nuovamente verso il toro, si pulì col fazzoletto il volto insanguinato. Non aveva visto Zurito. Dov'era Zurito?

La cuadrilla si era allontanata dal toro e aspettava con le cappe. Il toro era fermo, di nuovo tardo e pesante dopo l'attacco.

Manuel camminò verso di lui con la muleta. Si fermò e la scosse. Il toro non reagì. Da destra a sinistra e da sinistra a destra Manuel la passò davanti al muso del toro. Gli occhi del toro la seguivano e si muovevano al suo movimento, ma il toro non voleva caricare. Aspettava Manuel.

Manuel era preoccupato. Non restava che attaccare. Corto y derecho.

Si mise in posizione vicino al toro, spiegò la muleta davanti al suo corpo e diede la stoccata. Mentre spingeva dentro la spada, buttò il corpo a sinistra per schivare il corno. Il toro gli passò davanti e la spada schizzò in aria, scintillando sotto i riflettori, per cadere con la sua elsa rossa sulla sabbia.

Manuel corse a raccoglierla. Era piegata, e lui la raddrizzò sopra il ginocchio.

Mentre tornava di corsa verso il toro, che si era fermato di nuovo, passò davanti a Hernàndez là in piedi con la cappa.

- È tutt'ossa, - disse il ragazzo per incoraggiarlo.

Manuel annuì, pulendosi il viso. Si mise in tasca il fazzoletto insanguinato.

Ecco il toro. Adesso era vicino alla barrera. Maledetto. Forse era tutt'ossa. Forse non c'era un sol punto in cui la spada potesse penetrare. Perdio, se c'era! Gli avrebbe fatto vedere lui.

Tentò una figura con la muleta e il toro non si mosse. Manuel agitò la muleta, su e giù davanti al toro. Niente da fare.

Arrotolò la muleta, impugnò la spada, si mise in posizione e diede la stoccata. Sentì la spada piegarsi mentre la spingeva dentro, pigiando con tutto il suo peso, e poi la spada schizzò alta nell'aria e finì roteando tra la folla. Manuel aveva fatto un salto da una parte quando la spada era schizzata via.

I primi cuscini piovuti dall'oscurità lo mancarono. Poi uno lo colse in pieno viso, quel viso insanguinato che guardava verso la folla. Venivano giù fitti. Macchiando la sabbia. Qualcuno, da vicino, tirò una bottiglia vuota da champagne, che colpì Manuel al piede.

Manuel stava lì con lo sguardo fisso nel buio, donde arrivavano gli oggetti. Poi qualcosa sibilò nell'aria e si piantò vicino a lui. Era la spada. Manuel la raddrizzò sopra il ginocchio e l'alzò verso la folla.

- Grazie, - disse. -Grazie.

Oh, che luridi bastardi! Luridi bastardi! Oh, che schifosi, luridi bastardi!

Mentre correva, menò un calcio a un cuscino.

Ecco il toro. Sempre lo stesso. Benissimo, lurido, schifoso bastardo! Manuel passò la muleta davanti al muso nero del toro.

Niente da fare.

Non vuoi? Benissimo. Fece un passo avanti e piantò la punta aguzza della muleta nell'umido muso del toro.

Il toro gli fu addosso mentre lui spiccava un salto indietro, e mentre inciampava in un cuscino sentì che il corno gli entrava nel corpo, nel fianco. Si attaccò al corno con tutt'e due le mani e si lasciò trasportare dal toro, tenendosi stretto all'animale. Il toro lo scaraventò lontano e Manuel cadde per terra. Giacque immobile.

Tutto bene.

Il toro era andato via.

Si alzò tossendo e sentendosi a pezzi. Quei luridi bastardi!

- Datemi la spada, -  urlò. -Datemi la roba.

Fuentes si avvicinò con la muleta e la spada. Hernàndez gli mise un braccio intorno al collo.

- Va' all'infermeria, amico, - disse. -Non fare lo stupido, perdio.

- Levati dai piedi, - disse Manuel. -Va' all'inferno.

Si svincolò. Hernàndez si strinse nelle spalle.

Manuel corse verso il toro.

Ecco il toro, là fermo, pesante, ben piantato sulle zampe.

Benissimo, bastardo! Manuel tolse la spada dalla muleta, prese la mira con lo stesso movimento e si gettò sul toro. Sentì la spada penetrare quant'era lunga. Fino all'elsa. Quattro dita e il pollice nel toro. Il sangue era caldo sulle sue nocche, e Manuel era sopra il toro.

Il toro traballò sotto il suo peso, e parve sprofondare; poi Manuel si trovò in piedi. Guardò il toro rovesciarsi lentamente sul fianco, poi restare di colpo con i quattro zoccoli in aria.

Allora Manuel salutò la folla, con la mano calda del sangue del toro. Benissimo, bastardi! Voleva dire qualcosa, ma cominciò a tossire.

La roba che aveva in gola era calda e soffocante. Manuel cercò con gli occhi la muleta. Doveva andare a salutare il presidente.

All'inferno il presidente! Si sedette guardando qualcosa. Era il toro. I quattro zoccoli in aria. La grossa lingua fuori. Insetti che brulicavano sul suo ventre e sotto le zampe. Che brulicavano dove il pelo era rado. Un toro morto. All'inferno anche il toro! All'inferno tutti quanti! Fece per alzarsi e cominciò a tossire. Tornò a sedersi, tossendo. Qualcuno venne e lo tirò su.

Attraverso l'arena lo portarono all'infermeria, correndo con lui sulla sabbia, indugiando sulla porta per far entrare i muli, poi dentro, lungo il corridoio buio, con gli uomini che sbuffavano mentre lo portavano su per le scale, e poi lo misero giù.

Lo aspettavano il dottore e due uomini in bianco. Lo distesero sul tavolo. Gli stavano tagliando la camicia. Manuel si sentiva stanco.

Aveva un gran bruciore nel petto. Cominciò a tossire e gli accostarono qualcosa alla bocca. Si davano tutti un gran daffare.

Aveva una lampadina elettrica proprio davanti agli occhi. Chiuse gli occhi. Sentì qualcuno salire molto pesantemente le scale. Poi più nulla.

Poi un rumore lontano. La folla. Be', il suo secondo toro avrebbe dovuto ammazzarlo qualcun altro.

Gli avevano tagliato tutta la camicia. Il dottore gli sorrise. Ecco Retana.

- Ciao, Retana! - disse Manuel. Non riusciva a sentire la sua voce. Retana gli sorrise e disse qualcosa. Manuel non sentì niente.

Vicino al tavolo c'era Zurito, chino sul punto dove stava lavorando il dottore. Era vestito da picador, senza cappello.

Zurito gli disse qualcosa. Manuel non sentì niente.

Zurito parlava con Retana. Uno degli uomini in bianco sorrise e porse a Retana un paio di forbici.

Retana le diede a Zurito. Zurito disse qualcosa a Manuel. Manuel non sentì niente.

All'inferno quel tavolo operatorio. Era già stato su tanti tavoli operatori. Non stava per morire. Ci sarebbe stato un prete, se stava per morire.

Zurito gli disse qualcosa. Alzando le forbici.

Ecco. Volevano tagliargli la coleta. Volevano tagliargli il codino.

Manuel si mise a sedere sul tavolo operatorio. Il dottore fece un passo indietro, seccato. Qualcuno lo agguantò e lo tenne fermo.

- Non puoi farmi una cosa simile, Manos, - disse Manuel. A un tratto udì, chiaramente, la voce di Zurito.

- E va bene, - disse Zurito. -Non lo farò. Era uno scherzo.

- Andavo forte, - disse Manuel. -Non ho avuto fortuna. Ecco tutto.

Manuel tornò a sdraiarsi. Gli avevano messo qualcosa sulla faccia.

Gli era tutto molto familiare. Inspirò profondamente. Si sentiva molto stanco. Era molto, molto stanco. Gli tolsero quella cosa dalla faccia.

- Andavo forte, - disse con voce flebile Manuel. -Andavo proprio forte.

Retana guardò Zurito e si avviò alla porta.

- Resto con lui, - disse Zurito. Retana alzò le spalle.

Manuel aprì gli occhi e guardò Zurito.

- Non andavo forte, Manos? - chiese, per conferma.

- Certo, - disse Zurito. -Andavi proprio forte.

L'assistente del dottore mise il cono sopra la faccia di Manuel e Manuel trasse un profondo respiro. Zurito rimase a guardare, imbarazzato.

 

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