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Рассказ «Столица мира» (La capitale del mondo) на итальянском языке

Рассказ «Столица мира» (La capitale del mondo) на итальянском языке – читать онлайн, автор книги – Эрнест Хемингуэй.

Другие произведения мировой литературы можно читать онлайн в разделе «Книги на итальянском».

Тем, кто изучает итальянский язык по фильмам и видеоурокам, будет интересен раздел «Фильмы и видеоуроки на итальянском языке».

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La capitale del mondo

 

Madrid è piena di ragazzi che si chiamano Paco, che è il diminutivo di Francisco, e a Madrid si racconta la barzelletta di quel padre che arrivò a Madrid e mise nelle pagine pubblicitarie di El Liberal un annuncio economico che diceva: «Paco ti aspetto all'Hotel Montana martedì a mezzogiorno tutto è perdonato papà»; e si dovette chiamare uno squadrone della Guardia Civil per disperdere gli ottocento giovanotti che avevano risposto a quell'annuncio. Ma questo Paco, che serviva a tavola nella Pensiòn Luarca, non aveva un padre che lo perdonasse, né qualcosa di cui farsi perdonare da lui. Aveva due sorelle maggiori che facevano le cameriere alla Luarca, che avevano ottenuto quel posto perché venivano dallo stesso paesino di un'ex cameriera della Luarca che si era dimostrata onesta e laboriosa e che perciò aveva dato un buon nome al suo paese e ai suoi prodotti; e queste sorelle gli avevano pagato il viaggio in autobus fino a Madrid e procurato il posto di apprendista cameriere. Veniva da un paese in una zona dell'Estremadura dove le condizioni erano incredibilmente primitive, il cibo scarso e le comodità sconosciute e stando a quello che poteva ricordare, aveva sempre lavorato sodo.

Era un ragazzo ben piantato con capelli nerissimi, piuttosto ricci, bei denti e una pelle che le sue sorelle gli invidiavano, e aveva un sorriso pronto e spontaneo. Era svelto sulle gambe e sbrigava a puntino il suo lavoro e amava le sorelle, che sembravano belle e raffinate; amava Madrid, che era ancora una città incredibile, e amava il suo lavoro che, svolgendosi sotto luci sfolgoranti, con tovaglie pulite, gente in abito da sera, e in cucina tanta roba da mangiare, sembrava romantico e bellissimo.

C'erano da otto a dodici altre persone che vivevano alla Luarca e mangiavano in sala da pranzo ma per Paco, il più giovane dei tre camerieri che servivano a tavola, gli unici che esistevano veramente erano i toreri.

In quella pensione abitavano dei toreri di secondo piano, perché l'indirizzo nella Calle San Jerònimo era buono, il cibo era eccellente, e il vitto e l'alloggio costavano poco. Il torero deve dare un'impressione, se non di benessere, almeno di rispettabilità, poiché in Spagna, tra le virtù più apprezzate, decoro e dignità si collocano al di sopra del coraggio, e i toreri restavano alla Luarca fino a quando avevano speso le loro ultime pesetas. Non si è mai dato il caso che un torero abbia lasciato la Luarca per un albergo migliore o più caro; i toreri di secondo piano non diventavano mai di primo piano; ma dopo la Luarca il declino era veloce, perché in quella pensione poteva rimanere chiunque guadagnasse qualche soldo, e non si presentava mai a un cliente un conto non richiesto finché la donna che gestiva il locale non sapesse che era un caso disperato.

A quell'epoca c'erano tre matadores che alloggiavano nella Luarca, oltre a due ottimi picadores e un eccellente banderillero. La Luarca era un lusso per i picadores e per i banderilleros che, lasciando le famiglie a Siviglia, avevano bisogno di un alloggio a Madrid durante la stagione primaverile; ma era tutta gente ben pagata e con uno stabile rapporto di dipendenza da toreri già carichi d'impegni per la stagione imminente, e ciascuno di questi tre subordinati guadagnava probabilmente più soldi dei tre matadores. Dei tre matadores uno era ammalato e faceva del suo meglio per nasconderlo; uno aveva già superato il suo breve momento di gloria; e il terzo era un codardo.

Una volta il codardo era stato, finché non aveva ricevuto una cornata particolarmente dolorosa al basso ventre all'inizio della sua prima stagione come matador, eccezionalmente coraggioso e notevolmente abile, e aveva ancora molta della tecnica che sfoggiava nei suoi giorni di gloria. Era fin troppo gioviale e rideva continuamente, con e senza provocazione. Era stato, nei suoi momenti migliori, un gran burlone, ma ormai vi aveva rinunciato. Le burle, nell'arena, richiedevano una sicurezza che non aveva più. Questo matador aveva un viso molto aperto e intelligente e mostrava, in tutte le cose, molto stile.

Il matador che era ammalato cercava di non darlo a vedere e badava a mangiare un po' di tutti i piatti che venivano serviti a tavola.

Aveva moltissimi fazzoletti che lavava da sé in camera sua e, negli ultimi tempi, si era messo a vendere i suoi costumi da torero. Ne aveva venduto uno, per pochi soldi, prima di Natale, e un altro nella prima settimana di aprile. Erano costumi molto cari, erano sempre stati tenuti bene, e gliene rimaneva ancora uno. Prima di ammalarsi era stato un torero molto promettente, sensazionale addirittura, e, pur non sapendo leggere, aveva dei ritagli di giornale che dicevano che al suo debutto a Madrid era stato migliore di Belmonte. Mangiava da solo a un tavolino e raramente alzava lo sguardo.

Il matador un tempo acclamato come una promessa era molto piccolo e scuro e molto dignitoso. Anche lui mangiava da solo a un tavolo separato e sorrideva molto raramente e non rideva mai. Veniva da Valladolid, dove la gente è estremamente seria, ed era un esperto matador; ma il suo stile era passato di moda prima che lui riuscisse a conquistarsi la simpatia del pubblico con le sue virtù, che erano il coraggio e una tranquilla valentia, e il suo nome su un manifesto non avrebbe attirato più nessuno in un'arena. Ciò che per breve tempo aveva incuriosito la gente era il fatto che era così piccolo da riuscire a malapena a spingere lo sguardo oltre il garrese del toro; ma di toreri piccoli ce n'erano degli altri, e lui non era mai riuscito a imporsi all'attenzione del pubblico.

Dei picadores uno era un uomo magro con un volto grifagno e i capelli grigi, esile ma con due gambe e due braccia che sembravano di ferro, che sotto i pantaloni portava sempre stivali da bovaro, che ogni sera beveva troppo e che lanciava sguardi amorosi a tutte le donne della pensione. L'altro era grosso, scuro, bello, bruno in faccia, con dei capelli neri come quelli di un indiano e due mani enormi. Erano bravi picadores, tutt'e due, anche se del primo si diceva che avesse perso molto del suo talento a furia di bere e di condurre una vita sregolata, e del secondo che era troppo testardo e litigioso per restare più di una sola stagione con qualsiasi matador.

Il banderillero era un uomo di mezza età, grigio, agile come un gatto nonostante gli anni e, seduto a tavola, sembrava un uomo d'affari moderatamente ricco. Quell'anno si sentiva le gambe ancora buone, e quand'anche si fossero stancate era abbastanza intelligente ed esperto per sapersi conservare un posto fisso ancora a lungo. La differenza sarebbe stata che, quando non avesse più avuto il suo gioco di gambe, il banderillero avrebbe sempre avuto paura, mentre adesso era calmo e sicuro di sé nell'arena e fuori.

Quella sera tutti avevano lasciato la sala da pranzo tranne il grifagno picador che beveva troppo, il venditore all'incanto di orologi alle fiere e alle feste della Spagna, con la faccia segnata da una voglia, che beveva troppo anche lui, e due preti galiziani che stavano seduti in un angolo e che bevevano, se non troppo, certo abbastanza. Allora il vino era compreso nel prezzo del vitto e dell'alloggio alla Luarca e i camerieri avevano portato bottiglie fresche di Valdepeñas ai tavoli del venditore, poi al picador e, finalmente, ai due sacerdoti.

I tre camerieri stavano in fondo alla sala. Era regola della casa che restassero in servizio, tutti quanti, finché non se ne fossero andati tutti i clienti seduti ai tavoli affidati alle loro cure, ma quello che serviva al tavolo dei due sacerdoti aveva un appuntamento per andare a un comizio anarcosindacalista e Paco aveva accettato di sostituirlo.

Di sopra, il matador che era ammalato giaceva sul suo letto a faccia in giù, da solo. Il matador che era passato di moda sedeva davanti alla finestra, guardando fuori e aspettando di uscire per andare al caffè. Il matador che era un codardo aveva in camera sua la sorella maggiore di Paco e stava cercando di farle fare una cosa che, ridendo, lei non voleva fare. Questo matador stava dicendo:

- Dai, piccola selvaggia.

- No, - disse la sorella. -Perché dovrei?

- Per favore.

- Hai mangiato e ora vuoi me per dessert.

- Una volta sola. Che male può fare?

- Lasciami stare. Lasciami stare, ti dico.

- È una cosa da niente.

- Lasciami stare, ti dico.

Giù in sala da pranzo il più alto dei camerieri, che era in ritardo per il comizio, disse:

- Guarda quei porci neri come bevono.

- Non è il modo di parlare, - disse il secondo cameriere. -Sono clienti rispettabili. Non bevono troppo.

- Per me è il modo giusto di parlare, - disse quello alto. -Ecco le due maledizioni della Spagna, i tori e i preti.

- Certo non il toro individuale e il prete individuale, - disse il secondo cameriere.

- Sì, - disse il cameriere alto. -Solo attraverso l'individuo tu puoi attaccare la classe. È necessario uccidere il singolo toro e il singolo prete. Tutti quanti. Allora non ce ne saranno più.

- Risparmia il fiato per il comizio, - disse l'altro cameriere.

- Guarda la barbarie di Madrid, - disse il cameriere alto. -Sono le undici e mezzo e questi stanno ancora sbevazzando.

- Si sono messi a tavola alle dieci, - disse l'altro cameriere. -Sai benissimo che i piatti sono molti. Quel vino costa poco e loro lo hanno pagato. Non è un vino forte.

- Come può esserci solidarietà tra i lavoratori con degli imbecilli come te? - chiese il cameriere alto.

- Senti, - disse il secondo cameriere, che era un uomo di cinquant'anni. -Io ho lavorato tutta la vita. Dovrò lavorare per tutto il tempo che mi resta da vivere. Non ho niente da dire contro il lavoro. Lavorare è normale.

- Sì, ma la mancanza di lavoro uccide.

- Io ho sempre lavorato, - disse il cameriere più anziano. -Va' al comizio. Non occorre che tu rimanga qui.

- Sei un buon compagno, - disse il cameriere alto. -Ma ti manca ogni ideologia.

- Mejor si me falta eso que el otro, - disse il cameriere più anziano.

- Va' al mitin.

Paco non aveva detto nulla. Ancora non s'intendeva di politica, ma provava sempre un brivido di emozione quando sentiva il cameriere alto parlare della necessità di ammazzare i preti e la Guardia Civil.

Per lui il cameriere alto rappresentava la rivoluzione, e anche la rivoluzione era romantica. Personalmente gli sarebbe piaciuto essere un buon cattolico, un rivoluzionario, e avere un posto fisso come questo, pur facendo, al tempo stesso, il torero.

- Va' al comizio, Ignacio, - disse. -Ti sostituisco io.

- Ti sostituiamo noi, - disse il cameriere più anziano.

- Uno è più che sufficiente, - disse Paco. -Va' pure al comizio.

- Pues, me voy, - disse il cameriere alto. -E grazie.

Intanto, di sopra, la sorella di Paco era sfuggita all'abbraccio del matador con la stessa abilità di un lottatore che sfugge a una presa e disse, arrabbiata questa volta:

- Ecco i morti di fame. Un torero fallito. Pieno di paura fino agli occhi. Se hai tanto coraggio, usalo nell'arena.

- Così parlano le puttane.

- Anche le puttane sono delle donne, ma io non sono una puttana.

- Lo diventerai.

- Non per colpa tua.

- Lasciami, - disse il matador che, ora, rifiutato e respinto, sentiva ritornare la nudità della propria codardia.

- Lasciarti? Perché, t'è rimasto qualcosa? - disse la sorella. -Non vuoi che faccia il letto? Mi pagano per questo.

- Lasciami, - disse il matador, con la bella faccia larga raggrinzita in una smorfia come se stesse per mettersi a piangere.

- Puttana che non sei altro. Piccola, sporca puttana.

- Matador, - disse lei, chiudendo la porta. -Mio matador.

Nella stanza il matador si mise a sedere sul letto. Aveva ancora sul viso quella smorfia che, nell'arena, trasformava in un immutabile sorriso che impauriva gli spettatori delle prime file che sapevano a cosa stavano assistendo. «E questo» stava dicendo ad alta voce. «E questo. E questo.» Ricordava quando era stato in gamba, ed era stato solo tre anni prima. Ricordava il peso sulle spalle del greve giubbetto da combattimento di broccato d'oro quel caldo pomeriggio di maggio in cui la sua voce nell'arena era stata come quella nel caffè, e come aveva mirato, lungo la lama con la punta in basso, verso il punto sulle spalle del toro dove la polvere copriva il pelo corto della nera gobba muscolosa sopra le larghe corna con le punte scheggiate a furia di percuotere il legno che si abbassavano mentre faceva il suo affondo, e come la spada era entrata facilmente come in un pane di burro col palmo della mano che ne spingeva il pomo, il braccio sinistro basso e incrociato, la spalla sinistra in avanti, il peso sulla gamba sinistra, e poi il peso non era più sulla gamba. Il peso era sul basso ventre, e quando il toro alzò la testa il corno gli era sparito nel corpo, e due volte lui oscillò sopra quel corno prima che lo tirassero via. Così adesso quando faceva il suo affondo, e gli capitava di rado, non poteva guardare le corna: e cosa ne sapeva una puttana di quello che doveva sopportare prima di una corrida? E cosa avevano passato quelli che ridevano di lui? Erano tutte puttane e sapevano cosa potevano farsene.

Giù in sala da pranzo il picador sedeva guardando i preti. Se c'erano delle donne nella stanza, le guardava. Se di donne non ce n'erano, guardava con piacere un forestiero, un inglés, ma in mancanza di donne o di stranieri ora guardava con piacere e insolenza i due preti. Mentre li guardava, il venditore con la voglia sul viso si alzò e, piegando il tovagliolo, uscì, lasciando più di metà del vino nell'ultima bottiglia che aveva ordinato. Se i suoi conti alla Luarca fossero stati pagati, avrebbe finito la bottiglia.

I due preti non rispondevano alle occhiate del picador. Uno di essi stava dicendo:

- Sono dieci giorni che aspetto di vederlo e passo tutto il giorno seduto in anticamera e lui non vuole ricevermi.

- Cosa si può fare?

- Niente. Cosa vuoi che si possa fare? Non si può andare contro l'autorità.

- Io sono qui da due settimane, e niente. Aspetto, e loro non vogliono vedermi.

- Veniamo dalla regione abbandonata. Quando avremo finito i soldi potremo tornarcene a casa.

- Nella regione abbandonata. Cosa importa a Madrid della Galizia? Siamo una provincia povera.

- Si può capire il gesto di nostro fratello Basilio.

- Eppure io non ho una gran fiducia nell'integrità di Basilio Alvarez.

- Madrid è il posto dove s'impara a capire. Madrid uccide la Spagna.

- Se soltanto ricevessero la gente e dicessero di no.

- Macché. Devi avvilirti e consumarti nell'attesa.

- Be', si vedrà. Io posso aspettare come gli altri.

In quel momento il picador si alzò in piedi, si avvicinò al tavolo dei preti e rimase a guardarli sorridendo, grifagno e brizzolato.

- Un torero, - disse un prete all'altro.

- E un torero in gamba, - disse il picador, e uscì dalla sala da pranzo, con la giacca stretta in vita, le gambe storte e le braghe attillate sopra gli stivali col tacco alto da bovaro che ticchettavano sul pavimento mentre lui se ne andava con aria burbanzosa, ben saldo sulle gambe, sorridendo tra sé. Viveva in un piccolo mondo, chiuso e professionale, di efficienza personale, alcolici trionfi notturni, e insolenza. Adesso accese un sigaro e, mettendosi il cappello sulle ventitré mentre passava attraverso l'atrio, uscì per andare al caffè.

I preti se ne andarono subito dopo il picador, rendendosi conto all'improvviso di essere gli ultimi clienti rimasti, e allora nella sala non rimase più nessuno tranne Paco e il cameriere di mezza età.

Sparecchiarono i tavoli e portarono le bottiglie in cucina.

In cucina c'era il ragazzo che lavava i piatti. Aveva tre anni più di Paco ed era un tipo molto cinico e amaro.

- Prendi questo, - disse il cameriere di mezza età, e riempì un bicchiere di Valdepeñas e glielo porse.

- Perché no? - Il ragazzo prese il bicchiere.

- Tu, Paco? - domandò il cameriere più anziano.

- Grazie, - disse Paco. Bevvero, tutt'e tre.

- Io vado, - disse il cameriere di mezza età.

- Buonanotte, - gli dissero.

Lui uscì e loro rimasero soli. Paco prese uno dei tovaglioli usati dai preti e stando dritto, con i talloni uniti, abbassò il tovagliolo e seguendo il movimento con la testa fece oscillare le braccia nel gesto di un'ampia e lenta veronica. Si voltò, e avanzando leggermente il piede destro fece il secondo movimento, guadagnò un po' di terreno sul toro immaginario e fece il terzo movimento, lento, perfettamente ritmato e dolcissimo, poi si portò il tovagliolo alla vita e girando su se stesso scostò i fianchi dal toro in una media-veronica.

Il lavapiatti, che si chiamava Enrique, lo guardava con occhio critico e beffardo.

- Com'è il toro? - disse.

- Coraggiosissimo, - disse Paco. -Guarda.

Ergendosi nell'esile figura fece altri quattro perfetti movimenti, fluidi, eleganti e aggraziati.

- E il toro? - chiese Enrique appoggiandosi all'acquaio, tenendo in mano il bicchiere di vino e indossando il grembiule.

- Ha fiato da vendere, ancora, - disse Paco.

- Mi fai vomitare, - disse Enrique.

- Perché?

- Guarda.

Enrique si tolse il grembiule e aizzando il toro immaginario disegnò quattro languide e perfette veronicas alla gitana e finì con una rebolera che fece descrivere al grembiule un rigido arco sopra il muso del toro mentre lui si allontanava di qualche passo.

- Guarda questo, - disse. -E lavo piatti.

- Perché?

- Paura, - disse Enrique. -Miedo. La stessa paura che avresti tu se fossi in un'arena con un toro.

- No, - disse Paco. -Io non avrei paura.

- Leche! - disse Enrique. -Tutti hanno paura. Ma il torero sa dominare la paura in modo tale da potersi lavorare il toro. Io ho preso parte a una corrida per dilettanti e mi sono talmente spaventato che non ho potuto far a meno di scappare. Tutti l'hanno trovato molto divertente. Avresti avuto paura anche tu. Se non fosse per la paura, tutti i lustrascarpe della Spagna farebbero i toreri. Tu, che vieni dalla campagna, avresti più paura di quella che ho avuto io.

- No, - disse Paco.

Troppe volte lo aveva fatto nella sua immaginazione. Troppe volte aveva visto le corna, l'umido muso del toro, l'orecchio palpitante, poi la testa che si abbassava e la carica, gli zoccoli che martellavano il terreno e il toro infuriato che lo sfiorava mentre lui roteava la cappa, per tornare alla carica mentre lui roteava la cappa un'altra volta, poi ancora, e ancora, e ancora, e finiva col farsi fare un giro intorno dal toro nella sua grande media-veronica, e allontanarsi speditamente, con i peli del toro impigliati negli ornamenti dorati del giubbetto tanto vicino era passato l'animale; il toro immobile, come ipnotizzato, e la folla che applaudiva. No, lui non avrebbe avuto paura. Gli altri, sì. Lui no. Lo sapeva, che non avrebbe avuto paura. E anche se l'avesse avuta, sapeva comunque di potercela fare. Ne era certo.

- Io non avrei paura, - disse.

Enrique disse ancora:

- Leche.

Poi disse: «Se provassimo?».

- In che modo?

- Guarda, - disse Enrique. -Si pensa al toro ma non si pensa alle corna. Il toro ha una forza tale che le corna tagliano come un coltello, bucano come una baionetta e uccidono come un bastone. Guarda» disse aprendo il cassetto di un tavolo e togliendone due coltelli per la carne. «Legherò questi alle gambe di una sedia. Poi farò il toro con la sedia tenuta davanti alla testa. I coltelli sono le corna. Sei proprio in gamba, se rifai quelle figure.

- Prestami il grembiule, - disse Paco. -Facciamolo in sala da pranzo.

- No, - disse Enrique, perdendo improvvisamente tutta la sua asprezza.

- Non farlo, Paco.

- Sì, - disse Paco. -Non ho paura, io.

- L'avrai quando vedrai arrivare i coltelli.

- Vedremo, - disse Paco. -Dammi il grembiule.

In quel momento, mentre Enrique assicurava alle gambe della sedia i due coltelli per tagliare la carne, con la lama pesante e affilata come quella di un rasoio, avvolgendoli strettamente e poi legandoli con due tovaglioli sporchi intorno al manico, le due cameriere, sorelle di Paco, stavano andando al cinema a vedere Greta Garbo in Anna Christie. Dei due preti, uno sedeva in mutande leggendo il suo breviario e l'altro indossava una camicia da notte e diceva il rosario. Tutti i toreri tranne l'ammalato avevano fatto la loro visita al Café Fornos, dove il grosso picador con i capelli neri stava giocando a bigliardo e il matador piccolo e serio sedeva a un tavolo pieno di gente davanti a un caffellatte, insieme al banderillero di mezza età e ad altri operai con la faccia scura.

Il picador brizzolato e ubriacone era seduto davanti a lui con un bicchiere di cazalla e guardava compiaciuto il tavolo dove aveva preso posto il matador che si era perso di coraggio, con un altro matador che aveva appeso la spada al chiodo per rimettersi a fare il banderillero, e due prostitute dall'aria piuttosto malandata.

Il venditore era fermo all'angolo della strada e stava chiacchierando con gli amici. Il cameriere alto era al comizio degli anarco-sindacalisti e aspettava il momento di parlare. Il cameriere di mezza età era seduto davanti al Café Alvarez e beveva una birra piccola. La padrona della Luarca era già addormentata nel suo letto, dove giaceva sulla schiena col guanciale tra le gambe; grossa, grassa, onesta, pulita, pacioccona, religiosissima, non aveva mai smesso di sentire la mancanza di suo marito, morto già da vent'anni, né di pregare quotidianamente per lui. Nella sua stanza, solo, il matador ammalato giaceva sul suo letto a faccia in giù con la bocca premuta contro il fazzoletto.

Allora, nella sala da pranzo deserta, Enrique fece l'ultimo nodo ai tovaglioli che legavano i coltelli alle gambe della sedia e alzò la sedia. Orientò verso Paco le gambe con i coltelli e tenne la sedia sopra la testa con i due coltelli puntati in avanti, uno per ciascun lato della testa.

- Pesa, - disse. -Senti, Paco. È molto pericoloso. Non lo fare.

Sudava.

Paco gli stava di fronte, tenendo il grembiule spiegato, tenendone una cocca raccolta in ogni mano, col pollice in alto, l'indice in basso, spiegato per attirare lo sguardo del toro.

- Carica in linea retta, - disse. -Girati come un toro. Carica tutte le volte che vuoi.

- Come farai a sapere quando devi finire la figura? - chiese Enrique.

- Sarà meglio farne tre e poi una media.

- Va bene, - disse Paco. -Ma avanza in linea retta. Uh, torito!

Correndo a testa bassa, Enrique avanzò verso di lui e Paco fece roteare il grembiule proprio davanti alla lama del coltello mentre gli passava davanti al ventre, vicinissimo, e mentre passava essa era, per lui, il corno vero, nero, liscio e con la punta bianca, e mentre Enrique lo sfiorava e si voltava per tornare alla carica quella che passava con un sordo rumore era la massa del toro, irruento e con i fianchi insanguinati, che poi si voltava come un gatto e tornava all'attacco mentre lui faceva roteare lentamente la cappa. Poi il toro si voltò e tornò alla carica, e mentre teneva d'occhio la punta che avanzava Paco mise il piede sinistro troppo avanti di cinque centimetri e il coltello non passò, ma si era piantato nel suo corpo con la stessa facilità con cui avrebbe potuto bucare un otre da vino, e sopra e intorno all'improvvisa interna rigidezza dell'acciaio ci fu come un'ondata impetuosa e rovente ed Enrique gridò:

-Ay! Ay! Lascia che lo tiri fuori! Lascia che lo tiri fuori! - e Paco scivolò in avanti sulla sedia, senza mollare il grembiule che faceva da cappa, mentre Enrique tirava via la sedia e il coltello girava dentro di lui, dentro Paco.

Poi il coltello uscì e lui cadde a sedere per terra nella pozza tiepida che si allargava sempre più.

- Mettici sopra il tovagliolo. Tienilo! - disse Enrique. -Tienilo stretto. Corro a chiamare il dottore. Devi fermare l'emorragia.

- Ci vorrebbe una tazza di gomma, - disse Paco. L'aveva vista usare nell'arena.

- Io ho caricato in linea retta, - disse Enrique, piangendo. -Volevo solo mostrarti il pericolo.

- Non preoccuparti, - disse Paco, con una voce che sembrava venire da lontano. -Ma porta qui il dottore.

Nell'arena ti sollevavano e ti portavano di corsa in sala operatoria. Se l'arteria femorale si vuotava prima di arrivare là, chiamavano il prete.

- Avverti uno dei preti, - disse Paco, premendosi il tovagliolo contro il basso ventre. Stentava a credere che fosse toccato a lui.

Ma Enrique stava correndo lungo la Carrera San Jerònimo fino al pronto soccorso aperto tutta la notte e Paco rimase solo, prima seduto, poi piegato su se stesso, poi abbandonato sul pavimento, finché non ci fu più niente da fare, sentendo che la vita gli usciva dal corpo come esce l'acqua sporca da una vasca quando si leva il tappo. Aveva paura e si sentiva venir meno e provò a dire un atto di dolore e ricordava come cominciava ma prima che avesse detto, più in fretta che poteva: «Oh, mio Dio, mi pento con tutto il cuore di averti offeso, Tu che sei degno di tutto il mio amore, e prometto solennemente…», si sentì troppo debole e si accasciò sul pavimento, a faccia in giù, e in pochi istanti tutto finì. Un'arteria femorale recisa si vuota più in fretta di quanto si possa immaginare.

Mentre il medico del pronto soccorso saliva le scale accompagnato da un agente che teneva Enrique per un braccio, le due sorelle di Paco erano ancora nel cinematografo della Gran Via, delusissime dal film della Garbo, che mostrava la celebre diva in un ambiente squallido e miserabile, mentre loro erano abituate a vederla in mezzo al lusso e alla magnificenza. Il pubblico era scontentissimo del film e protestava fischiando e pestando i piedi. Tutti gli altri clienti dell'albergo stavano facendo pressappoco le stesse cose che facevano quando era accaduto l'incidente, con la sola differenza che i due preti avevano finito di recitare le loro devozioni e si accingevano ad andare a dormire, e il picador con i capelli grigi si era spostato col suo bicchiere al tavolo delle due prostitute malandate. Poco dopo uscì dal caffè con una di loro. Era quella alla quale aveva offerto da bere il matador che si era perso d'animo. Paco, il ragazzo, non aveva mai saputo nulla di tutto questo e non sapeva cosa tutta questa gente avrebbe fatto il giorno dopo e in tutti gli altri giorni che dovevano venire. Non aveva la più pallida idea di come queste persone vivessero realmente né di come potessero finire. Non lo immaginava nemmeno, che un giorno potessero finire.

Morì, come dicono in Spagna, pieno d'illusioni. In vita sua non aveva avuto il tempo di perderne nessuna e nemmeno, alla fine, di completare un atto di dolore.

Non aveva avuto nemmeno il tempo di amareggiarsi per il film della Garbo, che per una settimana deluse tutta Madrid.

 

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