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Эрнест Хемингуэй – рассказ «Недолгое счастье Фрэнсиса Макомбера» (La breve vita felice di Francis Macomber) на итальянском языке

Продолжение рассказа «Недолгое счастье Фрэнсиса Макомбера» (La breve vita felice di Francis Macomber) на итальянском языке, автор – Эрнест Хемингуэй (первую часть рассказа можно читать по ссылке выше).

 

Wilson ne sapeva qualcosa e lo esprimeva dicendo solo: «Gran bel leone», ma Macomber non sapeva nemmeno cosa pensasse Wilson della situazione. Non sapeva come la pensasse sua moglie, a parte il fatto che con lui aveva chiuso.

Già altre volte sua moglie aveva chiuso con lui, ma la cosa non era mai durata. Macomber era ricchissimo, e assai più ricco sarebbe diventato, e sapeva che sua moglie ormai non lo avrebbe più lasciato.

Questa era una delle poche cose che sapeva veramente. Sapeva questo come s'intendeva di motociclette - erano state la sua primissima passione -, di automobili, di caccia all'anitra, di pesca - alla trota, al salmone e d'altura -, della vita sessuale nei libri, molti libri, troppi libri, di tutti gli sport che si praticano su un campo all'aria aperta, dei cani, non molto dei cavalli, di come stare attaccato ai soldi, di quasi tutte le altre cose delle quali il suo mondo si occupava, e del fatto che sua moglie non lo avrebbe abbandonato. Sua moglie era stata una gran bella donna ed era ancora una gran bella donna in Africa, ma non era più una gran bella donna in patria, non abbastanza per poterlo lasciare e trovarsi una sistemazione migliore, e lei lo sapeva e lo sapeva lui. Sua moglie aveva perso l'occasione di lasciarlo e Macomber lo sapeva. Se Macomber fosse stato più in gamba con le donne, forse Margot avrebbe cominciato a temere che lui si trovasse un'altra moglie, giovane e bella; ma anche Margot lo conosceva troppo bene per preoccuparsi di lui. Lui, poi, aveva sempre avuto una grande tolleranza, che sembrava il suo lato più simpatico, se non fosse stato il più sinistro.

Tutto sommato erano considerati una coppia relativamente felice, una di quelle di cui spesso si mormora che stanno per dividersi ma che non si dividono mai, e, come diceva la cronaca mondana, stavano aggiungendo più di un pizzico d'avventura alla loro molto invidiata e immortale storia d'amore con un safari in quello che era noto come il Continente Nero finché i Martin Johnson non lo illuminarono sui tanti schermi cinematografici dove davano la caccia al Vecchio Simba, il leone, al bufalo, a Tembo, l'elefante, e inoltre raccoglievano esemplari per il Museo di storia naturale. Quella stessa cronaca mondana aveva detto, almeno tre volte, che i due coniugi erano ai ferri corti, ed era vero. Ma si erano sempre riappacificati. La loro unione poggiava su solide basi. Margot era troppo bella perché Macomber divorziasse da lei e Macomber aveva troppi soldi perché Margot si decidesse a lasciarlo.

Adesso erano le tre del mattino e Francis Macomber, che si era addormentato poco dopo aver smesso di pensare al leone, per poi svegliarsi e riprender sonno, si svegliò improvvisamente, spaventato da un sogno in cui il leone con la testa insanguinata incombeva su di lui, e mentre tendeva l'orecchio per ascoltare i tonfi del suo cuore si accorse che sua moglie non era nell'altra brandina sotto la tenda.

Per due ore restò sveglio, a meditare su quell'informazione.

Alla fine di questo tempo sua moglie entrò nella tenda, sollevò la zanzariera e si adagiò comodamente sul lettuccio.

- Dove sei stata? - chiese Macomber nell'oscurità.

- Ciao, - disse lei. -Sei sveglio?

- Dove sei stata?

- Sono andata a prendere una boccata d'aria.

- Sì, proprio.

- Cosa vuoi che dica, tesoro?

- Dove sei stata?

- Fuori a prendere una boccata d'aria.

- Adesso lo chiamano così? Una puttana, sei.

- Be', tu sei un vigliacco.

- Va bene, - disse lui. -E allora?

- Niente, per quanto mi riguarda. Ma non parliamo, per piacere, caro, perché ho un gran sonno.

- Tu mi credi capace di resistere a tutto.

- So che lo farai, tesoro.

- Be', non è così.

- Per piacere, caro, non parliamo. Ho tanto sonno.

- Doveva essere finita. Hai promesso che sarebbe finita.

- Be', non è finita, - disse soavemente lei.

- Avevi detto che sarebbe finita, se facevamo questo viaggio. Avevi promesso.

- Sì, caro. E dicevo sul serio. Ma tu ieri hai rovinato tutto. Non è il caso di parlarne, vero?

- Non hai aspettato molto per approfittarne, eh?

- Non parliamo, per piacere. Sono così stanca, tesoro.

- Io voglio parlare.

«Allora non badare a me, perché io voglio dormire.» E così fece.

Per fare colazione si misero tutti a tavola prima che spuntasse il giorno e Francis Macomber scoprì che di tutti gli uomini che aveva odiato, ed erano molti, Robert Wilson era quello che odiava di più.

- Dormito bene? - chiese Wilson con la sua voce gutturale, riempiendosi la pipa.

- E lei?

- Ottimamente, - disse il cacciatore bianco. Bastardo, pensò Macomber, bastardo insolente.

E così lo ha svegliato quando è tornata in tenda, pensò Wilson, guardandoli tutt'e due con i suoi occhi freddi e inespressivi. Be', perché non la tiene al suo posto? Cosa crede che sia, un maledetto santo di gesso? Che la tenga al suo posto. È colpa sua.

«Crede che troveremo dei bufali?» chiese Margot, respingendo un piatto di albicocche.

- Probabile, - disse Wilson e le sorrise. -Perché non resta al campo, lei?

- Nemmeno per idea, - gli disse lei.

- Perché non le ordina di restare al campo? - disse Wilson a Macomber.

- Glielo ordini lei, - disse Macomber, freddamente.

- Non c'è da ordinare niente a nessuno, e finiscila, - rivolta a Macomber -con queste sciocchezze, Francis, - disse Margot molto amabilmente.

- È pronto a partire? - chiese Macomber.

- Quando vuole,  gli disse Wilson. -Vuole che venga anche la memsahib?

- Che io lo voglia o no, cambia qualcosa?

Al diavolo, pensò Robert Wilson. All'inferno lui e tutta la compagnia. Allora è così che deve andare.

Be', allora così andrà.

- Non cambia niente, - disse.

- È sicuro che non preferirebbe restare lei qui al campo con mia moglie mentre io vado a caccia di bufali? - chiese Macomber.

- Impossibile, - disse Wilson. -Io non direi sciocchezze se fossi in lei.

- Io non dico sciocchezze. Sono semplicemente disgustato.

- Brutta parola, disgustato.

- Francis, per piacere, vuoi sforzarti di parlare in modo ragionevole? - disse sua moglie.

- Parlo fin troppo ragionevolmente, - disse Macomber. -Avete mai mangiato della roba più schifosa?

- Qualcosa che non va nella roba da mangiare? - chiese Wilson tranquillamente.

- Non più che in tutto il resto.

- Animo, ragazzo, - disse Wilson a bassissima voce. -C'è un boy che serve a tavola e capisce un po' d'inglese.

- Vada al diavolo.

Wilson si alzò e tirando boccate di fumo dalla pipa si allontanò, per dire qualche parola in swahili a uno dei portatori di fucile che, in piedi, lo stava aspettando. Macomber e sua moglie rimasero seduti.

Lui fissava la sua tazza di caffè.

- Se fai una scenata ti lascio, tesoro, - disse Margot a bassa voce.

- No, non è vero.

- Provaci e vedrai.

- Non è vero che mi lasci.

- No, - disse lei. -Io non ti lascio, ma tu devi comportarti bene.

- Io? Che modo di parlare. Comportarmi bene.

- Sì. Comportarti bene.

- Perché non cerchi tu di comportarti bene?

- È da tanto che ci provo. Da tanto di quel tempo.

- Odio quel porco dalla faccia rossa, - disse Macomber. -Mi fa schifo solo a vederlo.

- Veramente è molto carino.

- Oh, piantala, - disse Macomber, quasi gridando. Proprio allora la macchina arrivò e si fermò davanti alla tenda della mensa e l'autista e i due portatori di fucile misero piede a terra. Wilson si avvicinò e guardò i due coniugi seduti a tavola.

- Andiamo a tirare qualche colpo? - domandò.

- Sì? - disse Macomber, alzandosi in piedi.

- Sì.

- Meglio portarsi un golf. In macchina farà fresco? - disse Wilson.

- Vado a prendere la mia giubba di cuoio? - disse Margot.

- Ce l'ha il boy? - le disse Wilson. Lui salì davanti con l'autista e Francis Macomber e sua moglie sedettero, senza parlare, sul sedile posteriore.

Speriamo che a questo maledetto stupido non venga l'idea di spararmi una fucilata nella schiena, pensò Wilson tra sé. Che seccatura sono le donne nei safari.

La macchina scendeva sferragliando per attraversare il fiume a un guado sassoso nella grigia luce del mattino e poi salì, impennandosi su per la sponda scoscesa, dove Wilson il giorno prima aveva ordinato di aprire una strada per poter raggiungere il terreno ondulato e boscoso sull'altra riva, che sembrava quello di un parco.

Era un bel mattino, pensò Wilson. La rugiada appesantiva il fogliame, e quando le ruote passavano sull'erba tra i cespugli bassi si sentiva l'odore delle fronde schiacciate. Era un odore che sembrava di verbena, e a Wilson piaceva quest'odore mattutino della rugiada e delle felci schiacciate, e l'aspetto dei tronchi d'albero neri nella foschia del primo mattino, mentre la macchina procedeva su quel terreno poco battuto, molto simile a quello di un parco. Wilson si era già dimenticato dei passeggeri sul sedile posteriore e ora stava pensando ai bufali. I bufali che cercava lui passavano la giornata nel folto di un acquitrino dov'era impossibile sparare, ma di notte pascolavano in un pezzo di terra scoperto, e se Wilson fosse riuscito a frapporsi con la macchina tra loro e la palude Macomber avrebbe avuto buone probabilità di sorprenderli. Con Macomber non voleva cacciare il bufalo nel folto. Con Macomber non avrebbe voluto cacciare né il bufalo né altro, ma Wilson era un cacciatore di professione e ai suoi tempi era andato a caccia con certi tipi davvero eccezionali. Se oggi avessero preso il bufalo sarebbe rimasto solo il rinoceronte, e quel povero diavolo avrebbe finito il suo gioco pericoloso e forse le cose si sarebbero aggiustate. Wilson non avrebbe più visto quella donna e Macomber avrebbe ingoiato anche questa. Chissà quante doveva averne già mandate giù, a giudicare dalle apparenze. Poveraccio. Doveva aver trovato un sistema per passarci sopra. Be', era tutta colpa sua, tutta colpa di quel povero bastardo.

Lui, Robert Wilson, si portava nei safari una branda a due piazze per accogliervi qualunque dono del cielo potesse capitargli di ricevere. Aveva cacciato per una certa clientela, un ambiente internazionale di gente allegra che voleva divertirsi, dove alle donne non sembrava di avere speso bene i propri soldi se non avevano diviso quella branda col cacciatore bianco. Wilson le disprezzava quando era lontano da loro, anche se di tanto in tanto qualcuna gli piaceva, ma era con loro che si guadagnava la vita; e i loro standard erano anche i suoi, fino a quando erano loro a pagarlo.

Erano i suoi standard in tutto tranne che nella caccia. Wilson aveva i suoi standard nella caccia e loro potevano esserne all'altezza o trovarsi qualcun altro che cacciasse per loro. Wilson sapeva anche che per questo era rispettato da tutti. Ma quel Macomber era proprio un bel tipo. Accidenti se lo era. E la moglie? Be', la moglie… Sì, la moglie. Uhm, la moglie… Be', quello per lui era un capitolo chiuso. Si voltò a guardarli. Macomber sedeva ingrugnato e furente. Margot lo guardava sorridendo. Oggi sembrava più giovane, più fresca e più innocente, e non così professionalmente bella. Cosa c'è nel suo cuore lo sa Iddio, pensò Wilson. Non avevano parlato molto quella notte. Tutto sommato, vederla era un piacere.

La macchina si arrampicò su una collinetta e proseguì tra gli alberi e poi sbucò in una radura erbosa che sembrava una prateria e si tenne al riparo degli alberi lungo il bordo, con l'autista che andava piano e Wilson che perlustrava attentamente la prateria e tutto il suo margine opposto. Wilson fermò la macchina e studiò la radura col binocolo. Poi segnalò all'autista di proseguire e la macchina riprese ad avanzare lentamente, con l'autista che schivava le buche dei facoceri e girava intorno ai castelli di fango costruiti dalle formiche. Poi, mentre guardava verso la radura, a un tratto Wilson si voltò e disse:

«Perdio, eccoli là!» E guardando dove indicava lui, mentre la macchina scattava in avanti e Wilson parlava frettolosamente in swahili al conducente, Macomber vide tre enormi bestie nere che sembravano quasi cilindriche nella loro allungata pesantezza, simile a grossi carri cisterna neri, che passavano al galoppo lungo il margine opposto della prateria. Era uno strano galoppo, con il collo e il corpo rigido, e Macomber poteva scorgere le grandi corna nere puntate verso l'alto che avevano sulla testa, mentre galoppavano con la testa protesa; una testa che non si muoveva.

«Sono tre vecchi maschi» disse Wilson. «Isoliamoli prima che raggiungano la palude.» La macchina viaggiava a tutta birra attraverso la radura, a più di settanta chilometri l'ora, e, mentre Macomber guardava, i bufali continuarono a ingrandirsi fino a permettergli di vedere la figura grigia, rognosa, spelacchiata di un maschio colossale, e come il collo fosse in lui tutt'uno con le spalle, e il nero lucido delle sue corna mentre galoppava un po' discosto, dietro gli altri scaglionati in fila indiana che tenevano quel passo pesante e regolare; e poi, mentre la macchina sbandava come se fosse uscita di strada, si avvicinarono, e lui poté vedere la pesante immensità del bufalo, e la polvere sul suo manto spelacchiato, la grossa protuberanza tra le corna e il muso proteso con le froge dilatate, e stava alzando la carabina quando Wilson urlò: «Non dalla macchina, idiota!» e non aveva paura, solo odio per Wilson, mentre i freni si bloccavano e la macchina slittava, affondando di traverso nel terreno fin quasi a fermarsi, e Wilson uscì da una parte e lui dall'altra, inciampando quando toccò col piede quella terra immobile e sfuggente, e poi stava sparando al bufalo che si allontanava, udendo il tonfo dei proiettili che lo colpivano, scaricandogli addosso la carabina mentre quello, imperterrito, continuava ad allontanarsi, ricordando finalmente di mirare più avanti, alla spalla, e mentre trafficava per ricaricare vide che il bufalo era a terra. In ginocchio, scuoteva la testa, e quando vide gli altri due sempre al galoppo Macomber sparò al primo e lo colpì. Sparò di nuovo e mancò il bersaglio, e poi udì il cara-uong di Wilson che sparava e vide il primo bufalo scivolare in avanti, sul naso.

«L'altro» disse Wilson. «Questo si chiama sparare!» Ma l'altro bufalo continuava a galoppare, con la solita andatura regolare, e Macomber lo mancò, sollevando uno spruzzo di terra, e Wilson lo mancò, nella polvere che si alzava dalla radura formando un nuvolone, e Wilson urlò: «Andiamo. È troppo lontano!» e lo prese per un braccio e risalirono in macchina, aggrappandosi ai lati del veicolo ondeggiante e filando come razzi sul terreno accidentato, portandosi alle terga del bufalo che continuava a correre in linea retta e con il collo teso, in quel suo galoppo pesante e regolare.

Erano dietro di lui e Macomber caricava la carabina, seminando cartucce sul terreno, inceppandola, sbloccandola, poi erano quasi alla stessa altezza del bufalo quando Wilson urlò «Ferma», e la macchina sbandò fin quasi a capottare e Macomber cadde in piedi davanti al veicolo, tirò la leva dell'otturatore e sparò a quel dorso nero bombato e galoppante mirando più avanti che poteva, mirò e sparò di nuovo, e ancora, e ancora, e le pallottole, tutte andate a segno, non ebbero, sul bufalo, alcun effetto visibile. Poi sparò Wilson, con un boato assordante, e lui vide l'animale barcollare. Macomber sparò ancora, mirando attentamente, e il bufalo crollò, sulle ginocchia.

- Molto bene? - disse Wilson. -Ottimo lavoro. Li abbiamo beccati tutt'e tre.

Macomber provò un senso di esultanza confinante con l'ebbrezza.

- Quanti colpi ha sparato? - chiese.

- Tre soli - disse Wilson. -Il primo bufalo lo ha ammazzato lei. Il più grosso. Io l'ho aiutata a finire gli altri due. Non volevo che riuscissero a nascondersi da qualche parte. Ma li ha ammazzati lei. Ho solo chiuso i conti. Lei spara molto bene.

- Torniamo alla macchina, - disse Macomber. -Ho bisogno di bere.

- Prima dobbiamo finire quel bufalo, - gli disse Wilson. Il bufalo era in ginocchio e scuoteva furiosamente la testa e, quando mossero verso di lui, muggì sonoramente tutta la sua rabbia guardandoli con l'occhio porcino.

- Badi che non si alzi, - disse Wilson. Poi: -Si metta un po' di fianco e miri al collo, appena dietro l'orecchio.

Macomber mirò attentamente al centro dell'enorme collo sussultante e inferocito e sparò. Allo sparo la testa crollò in avanti.

- Così va bene, - disse Wilson. -Lo ha preso alla spina dorsale. Che razza di bestioni, eh?

- Andiamo a bere, - disse Macomber. Non si era mai sentito così bene in vita sua.

La moglie di Macomber, seduta in macchina, era pallidissima.

- Sei stato magnifico, tesoro, - disse a Macomber. -Che gincana.

- È stata dura? - domandò Wilson.

- Spaventoso. Non ho mai avuto più paura in vita mia.

- Beviamo, - disse Macomber.

- Certamente, - disse Wilson. -La dia alla memsahib.

Lei bevve dalla fiasca l'whisky puro e mentre deglutiva fu scossa da un piccolo brivido. Porse la fiasca a Macomber, che la porse a Wilson.

-È stato spaventosamente elettrizzante, - disse lei. -Mi è venuto un tremendo mal di testa. Però non sapevo che foste autorizzati a sparargli dalle macchine.

- Nessuno ha sparato dalle macchine, - disse freddamente Wilson.

- A inseguirli con le macchine, volevo dire.

- Di regola non si fa, - disse Wilson. -Però mi è sembrato abbastanza sportivo, già che c'eravamo. Si corrono più rischi a sfrecciare così attraverso la prateria, piena di buche e una cosa e l'altra, che a cacciare a piedi. Il bufalo poteva caricarci ogni volta che gli abbiamo sparato, se voleva. Gli abbiamo dato tutte le possibilità. Non lo direi a nessuno, però. È illegale, se ci tiene a saperlo.

- Io l'ho trovato molto sleale, - disse Margot. -Cacciare con la macchina quei bestioni inermi.

- Ah sì? - disse Wilson.

- Cosa succederebbe se a Nairobi lo venissero a sapere?

- Anzitutto perderei la mia licenza. Poi ci sarebbero altre seccature, - disse Wilson, bevendo un sorso dalla fiasca. -Rimarrei disoccupato.

- Davvero?

- Sì, davvero.

- Be', - disse Macomber, e sorrise per la prima volta in tutto il giorno. -Ora è nelle sue mani.

- Hai un modo così carino di dire le cose, Francis, - disse Margot Macomber. Wilson li guardò entrambi. Se uno stupido sposa una puttana, stava pensando, come diavolo saranno i loro figli? Quello che disse fu: -Abbiamo perso un portatore. Ve ne siete accorti?

- Dio mio, no, - disse Macomber.

- Eccolo che arriva, - disse Wilson. -Sano e salvo. Dev'essere caduto dalla macchina quando abbiamo lasciato il primo bufalo.

Quello che si stava avvicinando era il portatore di mezza età, zoppicante sotto il berretto di maglia, la sahariana, i calzoncini corti e i sandali di gomma, cupo in volto e disgustato. Quando arrivò si rivolse a Wilson in swahili e tutti notarono il cambiamento sulla faccia del cacciatore bianco.

- Cosa dice? - chiese Margot.

- Dice che il primo bufalo si è rialzato ed è sparito nella boscaglia, - disse Wilson con voce inespressiva.

- Oh, - disse Macomber, guardandolo con aria assente.

- Allora sarà come col leone, - disse Margot, pregustando la scena.

- Non sarà affatto come col leone, - le disse Wilson. -Vuole un altro sorso, Macomber?

- Grazie, sì, - disse Macomber. Si aspettava di provare nuovamente quello che aveva provato per il leone, invece non fu così. Per la prima volta in vita sua si sentiva assolutamente impavido. Invece di aver paura, provava un chiaro senso di esultanza.

- Dovremo andare a dare un'occhiata al secondo bufalo, - disse Wilson.

- Dirò all'autista di mettere la macchina all'ombra.

- Cosa volete fare? - chiese Margaret Macomber.

- Dare un'occhiata al bufalo, - disse Wilson.

- Vengo anch'io.

- Venga pure.

A piedi, tutt'e tre, raggiunsero il punto in cui il secondo bufalo formava una massa nera in mezzo alla radura, la testa allungata sull'erba, le corna massicce divaricate.

- Ha una testa bellissima, - disse Wilson. -Tra un corno e l'altro sarà più di un metro e venti.

Macomber lo guardava divertito.

- Mi fa orrore, - disse Margot. -Non possiamo andare all'ombra?

- Certo, - disse Wilson. –Guardi, - disse a Macomber, e puntò il dito.

- Vede quella macchia?

- Sì.

- È lì che si è inoltrato il primo bufalo. Il portatore ha detto che quando lui è caduto dalla macchina il bufalo era a terra. Guardava noi che andavamo come il vento e gli altri due bufali al galoppo. Quando si è voltato il bufalo era in piedi e lo guardava. Il portatore se l'è data a gambe e il bufalo è scomparso lentamente nella boscaglia.

- Possiamo andarlo a cercare, adesso? - chiese Macomber con impazienza.

Wilson gli rivolse un'occhiata indagatrice. Mi venga un colpo se non è un tipo strano, pensò. Ieri se la fa addosso dalla fifa e oggi non vede l'ora di menar le mani.

- No, gli daremo un po' di tempo.

- Per piacere, andiamo all'ombra, - disse Margot. Il suo volto era pallido e lei aveva un'aria sofferente. Si diressero verso il punto dove si trovava l'automobile, sotto un albero isolato dalla grande chioma, e vi salirono.

- Può darsi che sia morto là dentro, - osservò Wilson. -Tra un po' andremo a dare un'occhiata.

Macomber provava una sfrenata, irragionevole felicità che non aveva mai provato prima.

- Perdio, che caccia, - disse. -Non ho mai provato una sensazione simile. Non è stato magnifico, Margot?

- Che disgusto.

- Come?

- Che disgusto, - disse astiosamente lei. -Che schifo.

- Sa, credo che non avrò più paura di niente, - disse Macomber a Wilson. -Mi è successo qualcosa dopo la prima volta che abbiamo visto il bufalo e ci siamo messi a inseguirlo. Come una diga che si spacca. Ero al colmo dell'eccitazione.

- Ti depura il fegato, - disse Wilson. -Certe volte alla gente succedono delle cose maledettamente strane.

Il viso di Macomber era raggiante.

- Mi è davvero successo qualcosa, sa, - disse. -Mi sento un altro.

Sua moglie non disse nulla e lo guardò in uno strano modo. Era seduta dietro, in fondo, mentre Macomber si sporgeva in avanti per parlare con Wilson che rispondendo si voltava a mezzo sopra lo schienale del sedile anteriore.

- Vorrei provare con un altro leone, sa, - disse Macomber. -Ormai non mi fanno più paura, veramente. Dopo tutto, cosa possono farti?

- Giusto,  disse Wilson. -Il peggio che ti possa capitare è che qualcuno ti ammazzi. Come dice Shakespeare? Bellissime parole. Vediamo se riesco a ricordarmele. Oh, bellissime. Una volta me le ripetevo sempre. Vediamo. "In fede mia, non m'importa; un uomo non può morire che una volta; una morte dobbiamo a Dio e vada come vuole, chi muore quest'anno non dovrà farlo quello successivo." Bello, eh?»

Era imbarazzatissimo per aver tirato fuori quella che era un po' la sua regola di vita, ma aveva già visto degli uomini diventare maggiorenni ed era sempre una cosa che lo riempiva di commozione. Non era come se avessero compiuto semplicemente il loro ventunesimo anno.

C'era voluta una caccia stranamente fortunata, un improvviso passaggio all'azione senza la possibilità di angustiarsi prima del tempo, per farlo succedere in Macomber, ma comunque fosse successo era sicuramente successo. Guarda quel tipo, adesso, pensò Wilson. È che alcuni di loro rimangono per tanto tempo bambini, pensò Wilson.

Certe volte per tutta la vita. A cinquant'anni, sembrano bambini anche nell'aspetto. I grandi uomini- bambini americani. Gente maledettamente strana. Ma ora questo Macomber gli piaceva. Un individuo maledettamente strano. Che avesse anche finito di farsi fare le corna da sua moglie? Be', quella sarebbe stata una cosa bellissima. Una cosa maledettamente buona. Forse quel poveraccio aveva sempre avuto paura, per tutta la vita. Chissà com'era cominciata quella storia. Ma adesso era finita. Non aveva avuto il tempo di farsi spaventare dal bufalo. Questo e l'arrabbiatura. E la macchina. Le macchine rendevano la cosa familiare. Adesso era un maledetto attaccabrighe. In guerra Wilson aveva visto succedere le stesse cose. Cambiavano più che se avessero perso la verginità. La paura se ne andava come dopo un'operazione. Al suo posto cresceva un'altra cosa. La cosa più importante che avesse un uomo. Che ne faceva un uomo. Anche le donne lo sapevano. Più nessuna paura.

Dall'angolo più lontano del sedile Margaret Macomber li guardava tutt'e due. Wilson non era cambiato. Vedeva Wilson come lo aveva visto il giorno prima, quando per la prima volta si era accorta di quale fosse il suo grande talento. Ma vedeva che qualcosa di cambiato ora c'era in Francis Macomber.

- Prova anche lei questa felicità per le cose che devono succedere? - chiese Macomber, continuando a esplorare la sua nuova ricchezza.

- Non se ne dovrebbe parlare, - disse Wilson, guardandolo in faccia. -È molto più elegante dire che si ha paura. Badi, anche lei avrà paura, chissà quante volte.

- Ma la prova anche lei questa felicità per l'imminenza dell'azione?

- Sì, - disse Wilson. -È così. Non parli troppo di tutto questo. Altrimenti finisce tutto in chiacchiere. A parlarne troppo non si apprezza più nulla.

- State dicendo un mucchio di sciocchezze, - disse Margot. -Solo perché avete inseguito con la macchina alcuni animali inermi parlate come degli eroi.

- Scusi, - disse Wilson. -Ho chiacchierato troppo.

Già comincia a preoccuparsi, pensò.

- Se non sai di che parliamo perché t'immischi? - chiese Macomber a sua moglie.

- Come sei diventato coraggioso, tutt'a un tratto, - disse sua moglie in tono sprezzante, ma il suo disprezzo sembrava titubante. Aveva una gran paura di qualcosa.

Macomber rise, una risata sincera e molto naturale.

- Lo sai, - disse.

- È proprio vero.

- Non è un po' tardi? - disse Margot con asprezza. Perché in passato, per molti anni, aveva fatto del suo meglio, e i problemi che avevano adesso non erano colpa di nessuno.

- Non per me, - disse Macomber.

Margot non disse nulla ma tornò a rincantucciarsi nell'angolo del sedile.

- Crede che gli abbiamo lasciato abbastanza tempo? - chiese allegramente Macomber a Wilson.

- Potremmo dare un'occhiata, - disse Wilson. -Le sono avanzate delle munizioni?

- Ne ha un po' il portatore.

Wilson gridò qualcosa in swahili e il portatore più vecchio, che stava scuoiando una delle teste, si raddrizzò, trasse di tasca una scatola di cartucce e le portò a Macomber, che si riempì il caricatore e mise in saccoccia quelle che restavano.

«Tanto vale che prenda lo Springfield» disse Wilson. «Ormai c'è abituato. Lasceremo il Mannlicher in macchina con la memsahib. Il portatore può portarle la carabina più pesante. Io ho questo maledetto cannone. Ora lasci che le spieghi.»

Aveva tenuto questo per ultimo perché non voleva impensierirlo. «Quando il bufalo carica, carica a testa alta e in linea retta. La gobba delle corna gli ripara il cervello dai colpi. L'unico sistema per colpirlo è attraverso il naso. L'altro punto buono è il petto o, se sei di fianco, il collo o le spalle. Colpiti una volta, sono duri a morire. Non si faccia venire strane idee. Tenti il colpo più semplice che c'è. Ormai hanno finito di scuoiare quella testa. Vogliamo metterci in movimento?» Chiamò i portatori, che arrivarono pulendosi le mani, e il più vecchio salì dietro.

«Prendo solo Kongoni» disse Wilson. «L'altro può occuparsi di tenere lontani gli avvoltoi.»

Mentre la macchina tagliava lentamente la radura verso l'isola di alberi irsuti che formavano una lingua di fogliame lungo un corso d'acqua inaridito che incideva il valloncello, Macomber si sentiva il cuore in gola e la sua bocca era di nuovo asciutta, ma per l'eccitazione, non per la paura.

«Ecco il punto dov'è entrato» disse Wilson. Poi, in swahili, al portatore: «Segui le tracce di sangue». La macchina era parallela al tratto di boscaglia. Macomber, Wilson e il portatore scesero a terra.

Macomber, voltandosi indietro, vide sua moglie, col fucile al fianco, che lo guardava. La salutò con la mano e lei non rispose al suo cenno.

Davanti a loro la boscaglia era fittissima e il terreno era secco.

Il portatore di mezza età sudava copiosamente e Wilson si era calato il cappello sugli occhi e mostrava il collo rosso proprio davanti agli occhi di Macomber. A un tratto il portatore disse a Wilson qualcosa in swahili e corse avanti.

«È là dentro, morto» disse Wilson. «Bel lavoro», e si voltò per stringere la mano di Macomber, e mentre si davano la mano, scambiandosi un sorriso, il portatore lanciò un grido selvaggio ed essi lo videro uscire dalla boscaglia di traverso, veloce come un granchio, e il bufalo che veniva con le froge dilatate, la bocca serrata, il sangue gocciolante, il testone proteso in avanti, che veniva alla carica, con gli occhietti porcini iniettati di sangue mentre li guardava. Wilson, che era in testa, s'inginocchiò sparando, e Macomber, mentre sparava, senza udire il rumore dello sparo nel rombo della carabina di Wilson, vide dei frammenti che sembravano di ardesia saltar via dall'enorme gobba delle corna, e la testa sussultare, poi sparò ancora contro le froge dilatate e vide le corna che tornavano a ballare e altre schegge che volavano, e ormai non vedeva più Wilson, e mirando con cura sparò ancora, con la massa enorme del bufalo quasi su di lui e la sua carabina quasi alla stessa altezza della testa che arrivava, col muso proteso, e vide gli occhietti cattivi, e poi la testa cominciò ad abbassarsi e lui sentì un lampo improvviso, incandescente, accecante, scoppiargli nella testa, e questo fu tutto quello che sentì.

Wilson si era gettato da una parte per piazzare un colpo alla spalla. Macomber era rimasto fermo e aveva mirato al naso, sparando ogni volta alto d'un pelo e colpendo le grosse corna, sbriciolandole e scheggiandole come se avesse colpito un tetto di ardesia, e la signora Macomber, dalla macchina, aveva sparato al bufalo col Mannlicher 6,5 quando sembrava che stesse per sbudellare Macomber e aveva colpito il marito alla base del cranio, quattro o cinque centimetri sopra il colletto e un po' lateralmente.

Ora Francis Macomber giaceva, a faccia in giù, a meno di due metri da dove il bufalo giaceva sul fianco, e sua moglie era inginocchiata sopra di lui con Wilson accanto a lei.

- Non lo girerei, - disse Wilson.

La donna piangeva istericamente.

- Io tornerei alla macchina, - disse Wilson. -La carabina dov'è?

Lei scosse la testa, col viso contorto. Il portatore raccattò la carabina.

- Lasciala come sta, - disse Wilson. Poi: -Va' a prendere Abdulla, in modo che possa testimoniare come si è svolto l'incidente.

S'inginocchiò, trasse di tasca un fazzoletto e lo stese sopra i capelli a spazzola della testa di Francis Macomber, là dov'era. Il sangue imbeveva la terra soffice e secca.

Wilson si raddrizzò e vide il bufalo di fianco a lui, con le zampe rigide, e il ventre spelacchiato brulicante di zecche. «Gran bella bestia» registrò automaticamente il suo cervello. «Un buon metro e venti, o più. Forse più.» Chiamò l'autista e gli disse di stendere una coperta sopra il corpo e di aspettare lì. Poi raggiunse la macchina dove la donna, in un angolo, piangeva.

- Proprio un bel lavoretto, - disse con voce monotona. -Stavolta l'avrebbe lasciata.

- La smetta, - disse lei.

- È stato un incidente, si capisce, - disse lui. -Lo so.

- La smetta, - disse lei.

- Non si preoccupi, - disse lui. -Ci sarà qualche brutto momento, ma farò fare delle fotografie che saranno molto utili all'inchiesta. Abbiamo anche la testimonianza dei portatori e dell'autista. Andrà tutto bene.

- La smetta, - disse lei.

- Ci sono un mucchio di cose da fare, - disse lui. -E dovrò mandare un camion giù al lago per far venire un aereo che ci porti a Nairobi tutt'e tre. Perché non lo ha avvelenato? In Inghilterra si fa così.

- La smetta. La smetta. La smetta, - gridò la donna. Wilson la guardò con i suoi occhi azzurri e inespressivi.

- Ho finito, - disse. -Ero solo un po' arrabbiato. Aveva cominciato a piacermi, suo marito.

- Oh, la smetta, per piacere, - disse lei. -Per piacere, per piacere, la smetta.

- Così va meglio, - disse Wilson. - Meglio chiedere le cose per piacere. Ecco, smetto subito.

 

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