Книга «Завтрак у Тиффани» (Colazione da Tiffany) на итальянском языке – читать онлайн |
Книга «Завтрак у Тиффани» (Colazione da Tiffany) на итальянском языке читать онлайн, автор – Трумен Капоте. Повесть была издана в 1958-м, однако не всё сразу пошло гладко. В этом же году, ещё до издания книги «Завтрак у Тиффани» против Трумена Капоте был подан судебный иск по поводу сходства главной героини с реальной женщиной (которая и подала на него в суд, но проиграла дело). Кроме этого инцидента, был ещё конфликт с журналом, где автор повести «Завтрак у Тиффани» Трумен Капоте планировал первую публикацию. Стороны остались при своих мнениях, журнал отказал в издании, и книга вышла отдельно, без печати в журнале. Повесть пользовалась успехом у читателей, через несколько лет по ней был снят одноимённый фильм, а ещё позже книга «Завтрак у Тиффани» (Colazione da Tiffany) была переведена на разные языки мира, в том числе и на итальянский. На этой странице выложена первая часть повести «Завтрак у Тиффани» (Colazione da Tiffany) на итальянском языке, в конце страницы будет ссылка на её продолжение. Другие литературные произведения разных писателей можно читать онлайн в разделе «Книги на итальянском». Для тех, кто изучает итальянский язык по фильмам и видеоурокам, создан раздел «Фильмы и видеоуроки на итальянском языке». Для тех, кто хочет учить итальянский язык с преподавателем, подробная информация есть на странице «Итальянский по скайпу».
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Colazione da Tiffany
Mi sento sempre attratto dai posti dove sono vissuto, le case e i loro dintorni. Per esempio, nella Settantesima Est c'è un edificio di pietra grigia dove, al principio della guerra, ho avuto il mio primo appartamento newyorkese. Era una stanza sola affollata di mobili di scarto, un divano e alcune poltrone paffute, ricoperte di quel particolare velluto rosso e pruriginoso che ricolleghiamo alle giornate d'afa in treno. Le pareti erano a stucco, di un colore che ricordava uno sputo tabaccoso. Dappertutto, perfino in bagno, c'erano stampe di rovine romane, molto vecchie e tempestate di puntolini scuri. L'unica finestra dava sulla scala di sicurezza. Ma, anche così, mi si rialzava il morale ogni volta che mi sentivo in tasca la chiave di quell'appartamento; per triste che fosse, era un posto mio, il primo, e lì c'erano i miei libri, i barattoli pieni di matite da temperare, tutto quello che mi occorreva (o così almeno pensavo) per diventare lo scrittore che volevo diventare. In quei giorni non mi era mai venuto in mente di scrivere di Holly Golightly, e con ogni probabilità non ci avrei pensato nemmeno adesso se non fosse stato per una conversazione che ho avuto con Joe Bell, una conversazione che ha risvegliato tutti i miei ricordi di lei. Holly Golightly era un'inquilina della vecchia casa grigia; occupava l'appartamento sotto al mio. Joe Bell invece era il proprietario di un bar all'angolo di Lexington Avenue, e lo è ancora. Tanto Holly che io ci andavamo sei, sette volte al giorno, non per bere qualcosa, non sempre almeno, ma per telefonare; durante la guerra era molto diffìcile ottenere un telefono privato. E poi, Joe Bell era bravissimo a trasmettere messaggi, il che, nel caso di Holly, non era un favore da poco, perchè lei ne riceveva una quantità inverosimile. Naturalmente, questo accadeva molto tempo fa, e fino alla settimana scorsa non avevo più rivisto Joe Bell. Avevamo contatti saltuari, e ogni tanto, quando mi capitava di passare per quel rione, mi fermavo al suo bar; ma, in realtà, non eravamo mai stati grandi amici, se non in quanto eravamo entrambi amici di Holly Golightly. Joe Bell non ha un carattere facile, lo riconosce anche lui; perchè è scapolo, dice, e soffre di acidità di stomaco. Chi lo conosce vi dirà che parlare con lui è una impresa. Impossibile, se non condividete le sue fissazioni, una delle quali è Holly. Ne ha altre: l'hockey su ghiaccio, i cani Weimaraner, Our Gal Sunday (un radioromanzo che ha ascoltato per quindici anni), e Gilbert e Sullivan — sostiene di essere imparentato con uno dei due, non riesco mai a ricordare quale. E così, quando martedì scorso, nel tardo pomeriggio, il telefono squillò e sentii : « Qui Joe Bell, » capii che doveva trattarsi di Holly. Non lo disse esplicitamente, domandò solo : « Potete fare una scappata qui? È importante, » e c'era un gracidìo eccitato nella sua voce di rana. Presi un taxi sotto uno scroscio di pioggia ottobrina, e, strada facendo, pensai perfino che, forse, lei era là, che avrei rivisto Holly. Ma nel locale non c'era nessuno all'infuori del proprietario. Rispetto alla maggior parte dei bar di Lexington Avenue, quello di Joe Bell è un posticino tranquillo. Niente luci al neon, niente televisione. Due specchi antiquati riflettono il tempo che fa in strada, e dietro al banco, in una nicchia incorniciata di fotografie di assi dell'hockey su ghiaccio, c'è sempre un gran vaso di fiori freschi che Joe sistema personalmente con attenzione degna di una matrona. Proprio quel che stava facendo quando entrai. - Naturalmente, - disse, calcando un gladiolo nel vaso, -naturalmente non vi avrei fatto venire qui se non fosse che vorrei sentire il vostro parere. È successa una cosa molto strana. - Avete avuto notizie di Holly? Fece scorrere le dita su una foglia, come se non fosse ben sicuro della risposta. Piccolo, con una bella testa di capelli bianchi e ispidi, ha un viso affilato, sfuggente che sarebbe adatto a una persona più alta; la sua pelle sembra sempre scottata dal sole, e in quel momento si fece ancora più accesa. - Non posso proprio dire di avere avuto sue notizie. Non lo so, ecco. Ed è per questo che desidero il vostro parere. Lasciate che vi prepari un beveraggio. Qualcosa di nuovo. Lo chiamano Angelo Bianco, - disse, e mescolò attentamente una metà di vodka e una metà di gin, senza vermouth. Mentre bevevo il risultato dei suoi sforzi, Joe Bell si mise a succhiare una pasticca e a pensare a quello che doveva dirmi. Poi: - Ricordate un certo signor I. Y. Yunioshi? Un signore che veniva dal Giappone? - Dalla California, - replicai, perchè ricordavo perfettamente Yunioshi. È il fotografo di una grande rivista, e quando lo frequentavo abitava in un appartamento-studio all'ultimo piano della mia casa. - Non cominciate a confondermi le idee. Vi chiedo solo questo; capite che cosa intendo? Bene. Ieri sera chi ti entra qui, fresco come una rosa, se non il signor I. Y. Yunioshi in persona? Non lo vedevo da più di due anni. E dove credete che sia stato, in questi due anni? - In Africa. Joe Bell smise di masticare la sua pasticca e strinse gli occhi. - Come fate a saperlo? - L'ho letto nella colonna di Winchell. Il che era vero. Lui aprì il registratore di cassa, facendo tintinnare il campanello, e tirò fuori una busta commerciale. - Bene, guardate se avete trovato anche questo nella colonna di Winchell. Nella busta c'erano tre fotografie, più o meno simili, anche se scattate da punti diversi: un negro alto e bellissimo, in gonnellino di cotone, che, con un sorriso timido e insieme fatuo, mostrava una strana scultura in legno, la statuetta oblunga e slanciata di una testa di ragazza, i capelli lisci e corti come quelli di un uomo, i dolci occhi di legno troppo grandi nel viso appuntito, e la bocca generosa, esagerata, dalle labbra che ricordavano quelle di un pagliaccio. A prima vista, sembrava una scultura primitiva; poi non lo sembrava più, perchè era l'immagine sputata di Holly Golightly, almeno nei limiti di somiglianza che si può avere con un oggetto nero e senza vita. - Che ne pensate adesso? - domandò Joe Bell, evidentemente soddisfatto della mia perplessità. - Sembra lei. - Datemi retta, figliolo, - e battè la mano sul banco, -è proprio lei. È sicuro come è sicuro che io sono un uomo con tanto di calzoni. Il giappo-nesino ha capito che era lei non appena l'ha vista. - L'ha vista? In Africa? - Be'. Solo la statua. Ma è la stessa cosa. Leggete voi, avanti, - disse, voltando una delle fotografie. Sul rovescio c'era scritto: Statuetta in legno, tribù S, Tococul, East Anglia, Natale 1956. - Ecco che cosa racconta il giapponese, - disse Joe Bell, e la storia era la seguente. Il giorno di Natale, Yunioshi era passato con la sua macchina fotografica per Tococul, un villaggio al limitare del deserto e privo di qualsiasi interesse, un semplice gruppo di capanne di fango con scimmie nei cortili e poiane sui tetti. Aveva deciso di proseguire, quando aveva scorto un negro, accovacciato sulla soglia d'una porta, che intagliava scimmie in un bastone da passeggio. Yunioshi era rimasto colpito e aveva chiesto al negro di vedere qualche altro saggio del suo lavoro. Il negro gli aveva mostrato allora la statuetta di una testa di ragazza, e lui (così aveva raccontato a Joe Bell) aveva avuto l'impressione di vivere un sogno. Ma quando gli aveva offerto di comperare quell'esemplare, il negro si era coperto le pudende con una mano (un gesto di tenerezza, a quanto pare, corrispondente a quello di posarsi una mano sul cuore) e aveva risposto di no. Una libbra di sale e dieci dollari, un orologio da polso, due libbre di sale e venti dollari, nulla era riuscito a smuoverlo. Yunioshi comunque era deciso a conoscere l'origine della statuetta. La sua curiosità gli era venuta a costare tutto il suo sale e il suo orologio, e l'episodio era stato riferito in africano, in inglese bastardo e a gesti. A quanto sembrava, nella primavera di quell'anno, un gruppo di tre bianchi era arrivato dalla parte della foresta, a cavallo. Una giovane donna e due uomini. I due uomini, entrambi con gli occhi rossi di febbre, erano stati costretti a restare chiusi, in una capanna isolata, scossi da brividi continui, mentre la donna, che si era inopinatamente incapricciata dell'intagliatore, aveva diviso con lui la sua stuoia. - Non do eccessivo peso a questa parte del racconto, - dichiarò Joe Bell, con un certo riserbo. - So che Holly aveva abitudini piuttosto strane, ma non credo che sia mai arrivata a tanto. - E poi? - E poi niente. Si strinse nelle spalle. - Se n'è andata come era venuta, in groppa a un cavallo. - Sola o con i due uomini? Joe Bell socchiuse gli occhi. - Con i due uomini, immagino. Il giapponese allora ha chiesto di lei in tutta la zona, da cima a fondo. Ma nessuno l'aveva mai vista. Fu come se la mia delusione gli si trasmettesse e Joe non volesse saperne. - Una cosa dovete ammettere, che si tratta della sola notizia precisa in non so quanti anni. Li contò sulla punta delle dita ma non ne aveva abbastanza. - Spero soltanto una cosa : che sia ricca. Perchè dev'essere ricca. Bisogna essere ricchi per scorrazzare su e giù per l'Africa. - Probabilmente non ha mai messo piede in Africa, - dissi, convinto; eppure riuscivo a vedercela, era un posto dove sarebbe potuta andare. E quella statuetta... tornai a guardare la fotografia. - Visto che la sapete così lunga, dov'è? - Morta. O in un manicomio. O sposata. Credo che si sia sposata e sistemata tranquillamente, magari proprio in questa città. Lui rimase per qualche istante pensieroso. - No, - disse, e scosse la testa. - E vi spiegherò perché. Se fosse in questa città, l'avrei vista. Prendete un uomo cui piace camminare, un uomo come me che da dieci o dodici anni passeggia per le strade, e in tutto questo tempo ha cercato con gli occhi una sola, persona, e non ha visto nessuno come lei... non è ragionevole pensare che questa persona non ci sia? Ho visto continuamente qualcosa di lei: un sederino piccolo e piatto, una ragazza magra che cammina svelta e dritta... Si interruppe, come se si fosse accorto dell'intensità con cui l'osservavo. - Pensate che non abbia la testa a posto? - Non sapevo che foste innamorato di lei, semplicemente. Non fino a questo punto. Mi dispiacque di averlo detto, perchè le mie parole lo sconcertarono. Raccolse in fretta le fotografie e le rimise nella busta. Diedi un'occhiata all'orologio. Non avevo impegni, ma pensai che mi conveniva andarmene. - Un momento, - disse Joe, afferrandomi un polso. -Certo che l'amavo. Ma non volevo toccarla. E aggiunse, senza sorridere: - Non che non pensi mai a questo aspetto della faccenda, sia pure alla mia età, e saranno sessantasette il dieci di gennaio. È strano ma più vecchio divento e più mi sembra di avere in mente certe cose. Non ricordo di averci pensato tanto nemmeno da ragazzo, quando si hanno per la testa continuamente. Forse più vecchi si diventa meno facile è trasformare il pensiero in azione, ed è per questo che ti rimane tutto come chiuso nel cervello e diventa un peso. Sempre, quando leggo sui giornali di un vecchio che si svergogna, so che è per questo peso. Ma, si versò un bicchierino di whisky e lo buttò giù, puro, non mi svergognerò mai, io. E, lo giuro, non mi è mai passato per la mente nulla di simile per quanto riguarda Holly. Si può amare qualcuno senza essere così. Lo si considera un estraneo, un estraneo amico. Due uomini entrarono nel bar, e mi parve il momento di andarmene. Joe Bell mi seguì fino alla porta. Tornò ad afferrarmi un polso. - Ci credete? - Che voi non avete mai desiderato di toccarla? - Alla faccenda dell'Africa, voglio dire. In quel momento mi sembrava di non riuscire a ricordare la storia, ma solo l'immagine di lei che si allontanava in groppa a un cavallo. - In ogni modo, è scomparsa. - Già, - fece Joe, aprendo la porta. - È scomparsa. Fuori non pioveva più, c'era soltanto una nebbiolina nell'aria, così svoltai l'angolo e mi avviai giù per la strada dov'era la casa grigia. È una strada dove, l'estate, gli alberi allungano freschi intrichi d'ombra sull'asfalto; ma ora le foglie erano gialle, quasi tutte erano cadute o la pioggia le aveva rese viscide e scivolavano sotto i piedi. La casa è a metà di un isolato, vicino a una chiesa dove un campanile azzurro scandisce le ore. È stata rinnovata da quando c'ero io; una distinta porta nera ha sostituito quella vecchia a vetri smerigliati, e le finestre sono inquadrate da eleganti gelosie grigie. Di quelli che ricordo, ci abita ancora soltanto Madame Sapphia Spanella, una cantante arrochita che tutti i pomeriggi andava a schettinare al Central Park. So che c'è ancora perchè salii la scala d'ingresso e diedi un'occhiata alle caselle postali. Era stata una di quelle caselle postali a informarmi per prima dell'esistenza di Holly Golightly. Abitavo nella casa da circa una settimana quando notai che la casella dell'appartamento numero due era contrassegnata da un bigliettino perlomeno strano. Stampato con una certa eleganza formale, il biglietto diceva: Signorina Holiday Golightly, e sotto, in un angolo: in transito. Cominciò a perseguitarmi come una canzonetta: Signorina Holiday Golightly, in transito. Una notte, quando le due erano già passate da un pezzo, mi svegliai al suono della voce di Yunioshi che gridava giù per le scale. Poiché abitava all'ultimo piano la sua voce echeggiava per tutta la casa, esasperata e severa. - Signorina Golightly! Devo protestare! La voce che rispose dal basso, era sciocca di giovinezza e un po' divertita. - Oh, tesoro, mi dispiace davvero. Ho perduto la chiave. - Non potete suonare il mio campanello. Dovete, dovete assolutamente farvi fare una chiave. - Ma le perdo tutte, sempre. - Io lavoro, e ho diritto di dormire, - sbraitò Yunioshi. - Voi invece continuate a suonare il mio campanello... - Oh, non inquietatevi, carissimo ; non lo farò più. E se mi promettete di non arrabbiarvi, - la voce si faceva sempre più vicina, la ragazza stava salendo le scale, -potrei anche lasciarvi scattare le fotografìe di cui abbiamo parlato. Ero saltato giù dal letto e avevo socchiuso la porta. Sentivo il silenzio di Yunioshi, lo sentivo perchè era accompagnato da un cambiamento di ritmo nella respirazione più che palese. - Quando? - volle sapere. La ragazza rise. - Una volta o l'altra, - rispose, farfugliando lievemente. - In qualsiasi momento, - replicò lui, e chiuse la porta. Uscii sul pianerottolo e mi sporsi dalla balaustra, quel tanto che bastava per vedere senza essere visto. Era ancora sulle scale, ora aveva raggiunto il mezzanino, e i colori chiassosi dei suoi capelli da ragazzino, a ciocche fulve, venate di biondo albino e di giallo, riflettevano la luce della lampada. Era una sera calda, quasi estiva, lei indossava un abito nero, aderente e fresco, portava sandali neri e una collana di perle. Nonostante la sua elegante snellezza, aveva l'aria sana di chi vive di latte e di burro e si lava con l'acqua e il sapone. Aveva le guance d'un rosa acceso, la bocca grande, il naso all'insù. Un paio di occhiali neri le cancellava gli occhi. Aveva un viso che, pur avendo superato la fanciullezza, non era ancora quello di una donna. Pensai che poteva avere qualsiasi età fra i sedici e i trenta; come scopersi in seguito mancavano due mesi al suo diciannovesimo compleanno. Non era sola. Un uomo la seguiva, e il modo in cui la sua mano grassoccia le cingeva i fianchi mi sembrava fuori posto; non dal punto di vista morale, da quello estetico. Era un individuo piccolo e grosso, abbronzato dalla lampada a quarzo e lustro di brillantina; indossava un abito a righe sottilissime, rigido di imbottiture, e aveva all'occhiello un garofano rosso appassito. Quando raggiunsero la porta, lei cominciò a frugare nella borsa alla caccia di una chiave, senza badare alle labbra di lui che le massaggiavano la nuca, all'attaccatura del collo. Finalmente, trovata la chiave e aperta la porta, si voltò verso di lui, cordialissima. - Che Dio ti benedica, caro... sei stato davvero gentile ad accompagnarmi a casa. - Ehi, pupa ! - fece lui, perché il battente gli si stava chiudendo in faccia. - Sì, Harry? - Harry era quell'altro. Io sono Sid. Sid Arbuck. E ti piaccio. - Vi adoro, signor Arbuck. Buona notte, signor Arbuck. Arbuck rimase a guardare, incredulo, la porta che era stata chiusa con gesto deciso. - Ehi, pupa, lasciami entrare, pupa. Io ti piaccio, pupa. Sono un tipo che piace, io. Non ho forse pagato il conto per cinque persone, amici tuoi che non avevo mai visto? E questo non mi dà il diritto di esserti simpatico? Io ti piaccio, pupa. Bussò alla porta, prima adagio, poi sempre più forte, e alla fine arretrò di qualche passo, la schiena ingobbita, il corpo piegato in avanti, come se avesse intenzione di partire alla carica e di buttar giù tutto. Invece, si precipitò per le scale, picchiando il pugno contro la parete. Era appena arrivato in fondo quando la porta dell'appartamento si aprì e la ragazza mise fuori la testa. - Oh, signor Arbuck... Lui si voltò, con un sorriso che gli si allargava sul viso, come una macchia d'olio: dunque era stato solo uno scherzo. - La prossima volta che una ragazza vuole qualche spicciolo per la toletta, - gli gridò lei, e non scherzava affatto, -ascoltate il mio consiglio, tesoro: non datele venti cents! Holly mantenne la promessa fatta a Yunioshi, o per lo meno credo che non suonasse più il suo campanello perchè nei giorni seguenti cominciò a suonare il mio, qualche volta alle due del mattino, alle tre e alle quattro: non le interessava a che ora mi faceva schizzare dal letto per premere il pulsante che apriva la porta a pianterreno. Avevo pochi amici, io, e nessuno che venisse a trovarmi a un'ora così tarda, così sapevo sempre che era lei. Ma, le prime volte, andai alla porta, perchè quasi mi aspettavo cattive notizie, un telegramma, e la signorina Golightly mi gridava: «Scusatemi, tesoro... ho dimenticato la chiave.» Non ci eravamo mai presentati, naturalmente. Spesso, sulle scale o in strada, ci trovavamo a faccia a faccia, ma sembrava che lei non mi vedesse. Portava sempre gli occhiali neri, era sempre in perfetto ordine, c'era un innato buon gusto nella semplicità dei suoi abiti", nei grigi, negli azzurri, nell'opacità dei tessuti che la faceva brillare di luce propria. La si sarebbe potuta scambiare per una modella fotografica, magari per una giovane attrice, solo che, a giudicare dagli orari, era evidente che non aveva tempo di essere nè l'una nè l'altra cosa. Ogni tanto la vedevo fuori dal nostro quartiere. Una sera un conoscente in visita mi portò al «21», e, a un tavolo del sopralzo, circondata da quattro uomini, nessuno dei quali era Arbuck ma tutti intercambiabili con lui, ecco la signorina Golightly che, con un gesto pigro, si pettinava in pubblico, e la sua espressione, uno sbadiglio inconsapevole, mise, per contagio, la sordina all'eccitazione che provavo a cenare in un locale così elegante. Un'altra sera, in piena estate, il caldo della mia stanza mi spinse a scendere in strada. Percorsi la Terza Avenue fino alla Cinquantunesima Strada, dove c'era un negozio d'antiquario che aveva in vetrina un oggetto che ammiravo: un'uccelliera a forma di palazzo, una moschea di minareti e di stanze di bambù che aspettavano solo di essere riempite da pappagalli chiacchierini. Ma il prezzo era di trecentocinquanta dollari. Mentre tornavo a casa, notai una piccola folla di autisti di taxi davanti al locale di P. J. Clark, richiamata apparentemente da un allegro gruppo di ufficiali australiani che, con gli occhi lucidi di whisky, cantavano a gola spiegata Waltzing Matilda. E, mentre cantavano, facevano piroettare una ragazza sull'acciottolato sotto la ferrovia soprelevata; e la ragazza, la signorina Golightly, naturalmente, volava da un paio di braccia all'altro, leggera come una piuma. Ma, se la signorina Golightly continuava a ignorare la mia esistenza, con l'unica eccezione dell'uso del campanello, io, nel corso dell'estate, diventai qualcosa di simile a un'autorità sulla sua. Osservando il cestino dei rifiuti davanti alla sua porta, scoprii che le sue normali letture consistevano in giornali scandalistici, volantini di viaggio e oroscopi, che fumava strane sigarette di Home Picayune, che si nutriva a base di ricotta e melba toast ; che i suoi capelli multicolori avevano, in un certo senso, un'origine volontaria. La stessa fonte m'informò che la signorina riceveva lettere di militari a sacchi. Erano sempre strappate a strisce, come segnalibri. Qualche volta, mentre passavo, prelevavo un segnalibro. Ricordo, la tua mancanza, pioggia, ti prego di scrivere, accidenti e maledizione erano le parole che ricorrevano più di frequente, insieme a solitario e amore. Inoltre la signorina aveva un gatto, e suonava la chitarra. Nei giorni in cui il sole picchiava forte si lavava i capelli, poi, assieme al gatto, un maschio rosso tigrato, si metteva a sedere sulla scala di soccorso a pizzicare la chitarra mentre i capelli asciugavano. Ogni volta che sentivo la musica, andavo a mettermi in silenzio accanto alla finestra. Suonava molto bene, e qualche volta cantava. Cantava con il timbro rauco, incerto di un adolescente. Conosceva tutti i grandi successi, Cole Porter e Kurt Weill; le piacevano soprattutto le arie di Oklahoma! che erano nuove quell'estate e che si sentivano dappertutto. Ma c'erano momenti in cui cantava cose che vi facevano domandare dove poteva averle imparate, o da dove mai potevano venire. Strane arie dolci-amare con parole che sapevano di pini e di prateria. Una diceva: Don't wanna sleep, Don't wanna die, Just wanna go a-travelin' through the pastures of the sky (Non voglio dormire, Non voglio morire, Voglio soltanto viaggiare per i pascoli del cielo); e, questa sembrava piacerle più delle altre, perchè continuava a ripeterla anche quando i capelli erano già asciutti, anche quando il sole era tramontato e le finestre si illuminavano nel crepuscolo. Ma la nostra conoscenza sbocciò solo a settembre, in una sera percorsa dai primi brividi dell'autunno. Ero stato al cinema, ero tornato a casa, mi ero preparato il whisky della staffa, e mi ero coricato con l'ultimo Simenon; mi sentivo così a posto che avvertii un disagio crescente solo quando mi accorsi che il cuore mi batteva forte. Provavo un'impressione di cui avevo letto e avevo scritto, ma che non avevo mai sentito. L'impressione di essere osservato. Da qualcuno che era nella stanza.' Poi, un improvviso tamburellare alla finestra, una rapida visione di un fantomatico grigio; rovesciai il whisky. Mi ci volle un po' prima di decidermi ad aprire la finestra e a domandare alla signorina Golightly che cosa voleva. - Ho in casa il più spaventoso degli uomini, - mi rispose, passando dalla scala di sicurezza nella mia stanza. - Intendiamoci, quando non è ubriaco è simpaticissimo, ma se attacca col vino, Dio, che bestia diventa. Se c'è una cosa che non posso sopportare sono gli uomini che mordono. Scostò da una spalla la vestaglia di flanella grigia per mostrarmi che cosa succede quando un uomo morde. La vestaglia era tutto quel che aveva addosso. - Scusatemi se vi ho spaventato. Ma quando quella bestia ha cominciato a diventare seccante, sono uscita dalla finestra, semplicemente. Immagino che lui mi creda in bagno, non che mi importi un accidente di quello che crede, che vada al diavolo, si stancherà, si metterà a dormire: deve farlo, santo Dio, con otto Martini prima di cena, e abbastanza vino per fare il bagno a un elefante. Sentite, potete buttarmi fuori, se volete. Non è molto educato da parte mia imporvi la mia presenza in questo modo. Ma faceva un freddo maledetto sulla scala di soccorso. E voi, qua dentro, avevate un'aria così beata. Come mio fratello Fred. Dormivamo sempre in quattro in un letto, e nelle notti fredde era il solo che mi permettesse di stargli vicina. A proposito, vi dispiace se vi chiamo Fred? Era entrata nella mia stanza ormai, e si fermò, guardandomi. Non l'avevo mai vista senza occhiali neri, e capii che si trattava di lenti graduate, perchè senza di esse i suoi occhi si socchiudevano, con l'aria di valutare qualcosa, come quelli di un gioielliere. Erano occhi molto grandi, un po' azzurri, un po' verdi, con piccoli punti bruni; variegati, come i suoi capelli, e, come i suoi capelli, avevano una sfumatura calda, viva. - Immagino che mi giudicherete sfacciata. O très fou. O qualcosa di simile. - Niente affatto. Parve delusa. - Invece sì. Lo pensano tutti. Io non ci bado. È una cosa molto utile. Andò a sedersi su una delle traballanti poltrone di velluto rosso, ripiegò le gambe sotto di sè e diede un'occhiata circolare alla stanza, strizzando ancora di più gli occhi. - Ma come riuscite a resistere? È la camera degli orrori, questa. - Oh, ci si abitua a tutto, - risposi, irritato con me stesso, perchè in realtà ero orgoglioso della mia sistemazione. - Io no. Non mi abituo mai a niente, io. Chi si abitua a tutto tanto vale che muoia. Con occhi sprezzanti, tornò ad osservare la stanza. - Che cosa fate qui voi, tutto il giorno? Con un cenno del capo, indicai un tavolo carico di libri e di carte. - Scrivo. - Credevo che gli scrittori fossero vecchissimi. Saroyan non è vecchio, lo so. L'ho conosciuto a una festa, e non è affatto vecchio. Anzi, - continuò, meditabonda, -se si fosse fatto meglio la barba... a proposito, è vecchio Hemingway? - Sulla quarantina, credo. - Non c'è male. Un uomo comincia a eccitarmi solo quando ha quarantadue anni. Conosco una idiota di ragazza che continua a ripetermi che dovrei andare da uno psicanalista; secondo lei, ho il complesso del padre. Il che è merde. Mi sono semplicemente allenata ad apprezzare gli uomini anziani, ed è stata la cosa più intelligente che abbia mai fatto. Quanti anni ha Somerset Maugham? - Non lo so di preciso. Sessanta e rotti. - Non c'è male. Non sono mai stata a letto con uno scrittore. No, un momento: conoscete Benny Shacklett? Al mio cenno di diniego corrugò la fronte. - Strano. Ha scritto un mucchio di roba per la radio. Ma quel porco ! Ditemi, siete un vero scrittore, voi? - Dipende da quello che intendete per "vero". - Be', tesoro, c'è qualcuno che compera quello che scrivete? - Non ancora. - Vi aiuterò io, - dichiarò. -E posso farlo, sicuro. Pensate a tutta la gente che conosco, e che a sua volta, conosce altra gente. Vi aiuterò perchè siete come mio fratello Fred, tale e quale. Solo un po' più piccolo. Non l'ho più visto da quando avevo quattordici anni, cioè da quando me ne sono andata da casa, e lui era già alto un metro e ottantotto. Gli altri miei fratelli erano più o meno della vostra statura, dei tappi. È stato il burro di arachidi a far diventare Fred così grande. Tutti dicevano che era scemo, perchè si abboffava di burro di arachidi; per lui al mondo esistevano soltanto i cavalli e il burro di arachidi. Ma non era scemo, era soltanto buono e distratto e terribilmente lento; quando sono scappata, ripeteva l'Ottava classe per la terza volta. Povero Fred. Chissà se l'esercito è generoso con il burro di arachidi. A proposito, questo mi ricorda che ho fame. Le indicai una terrina di mele, e nello stesso tempo le domandai perchè se n'era andata di casa così giovane. Mi guardò senza la minima espressione e si grattò il naso, come se le facesse solletico, un gesto che, rivedendolo parecchie volte, imparai a riconoscere come il segnale che qualcuno stava passando il segno. Come capita a molte persone portate, per indole, a parlare spontaneamente di sè, tutto quanto sottintendeva una domanda diretta, una precisazione, la metteva in guardia. Addentò una mela e disse: - Raccontatemi qualcosa che avete scritto. La trama, beninteso. - È precisamente questo il guaio. Non sono trame che si possono raccontare. - Troppo sporche? - Forse un giorno o l'altro ve le lascerò leggere. - Whisky e mele vanno perfettamente d'accordo. Preparatemi qualcosa da bere, tesoro. Poi leggetemi voi una delle vostre cose. Pochissimi scrittori, specie quelli che non hanno ancora trovato un editore, sanno resistere all'invito di leggere ad alta voce. Preparai da bere per tutti e due e, dopo essermi sistemato nella poltrona di fronte a lei, cominciai a leggere, con la voce un po' tremante, per uno strano miscuglio di paura da palcoscenico e di entusiasmo; era un racconto nuovo, l'avevo terminato il giorno prima, e non avevo ancora avuto il tempo di avvertire l'inevitabile impressione di inadeguatezza. Trattava di due donne che dividono la stessa casa, due maestre, una delle quali, quando l'altra si fidanza, suscita con lettere anonime uno scandalo che impedisce il matrimonio. Mentre leggevo, ogni occhiata furtiva che lanciavo a Holly mi stringeva il cuore. Era irrequieta. Apriva i mozziconi nel portacenere, si fissava le unghie con aria meditabonda, come se rimpiangesse di non avere una lima; e peggio ancora, quando mi parve di essermi finalmente accaparrato il suo interesse, scorsi nei suoi occhi un gelo rivelatore, come se si domandasse se valeva la pena di comperare un paio di scarpe che aveva visto in chissà quale vetrina. - E finisce così? - domandò, riscotendosi. Annaspò per trovare qualcos'altro da dire. - Le lesbiche, in sè, mi piacciono, certo. Non mi spaventano nemmeno un po'. Ma i racconti sulle lesbiche mi scocciano da morire. Non riesco a mettermi nei loro panni. Be', tesoro, - continuò, poiché dovevo avere un'aria chiaramente perplessa, -se non parla di una coppia di lesbiche di che diavolo parla? Ma io non ero in vena di aggiungere all'errore di aver letto il racconto l'ulteriore imbarazzo di spiegarlo. La stessa vanità che mi aveva spinto ad espormi mi spingeva ora a bollarla come esibizionista, sciocca e insensibile. - A proposito, - continuò lei, -conoscete per caso qualche simpatica lesbica? Sto cercando una compagna di stanza. Su, non ridete; sono maledettamente disorganizzata, io, e non posso permettermi il lusso di una domestica. Sul serio, le sporcaccione sono meravigliose donne di casa, vogliono sempre sbrigare loro quello che c'è da fare, non c'è mai bisogno di pensare alle scope, al frigorifero da sbrinare, alla biancheria da mandare dal lavandaio. Avevo una compagna di stanza a Hollywood, che recitava nei western, la chiamavano la Guardia a Cavallo; ma devo riconoscerle che in casa era meglio di un uomo. Naturalmente, gli altri non potevano fare a meno di pensare che fossi un po' lesbica anch'io. E lo sono, naturalmente. Tutte lo siamo, un po'. E con questo? È una cosa che non scoraggia mai gli uomini, anzi sembra che li ecciti. Guardate la Guardia a Cavallo, si è sposata due volte. Di solito le lesbiche si sposano una volta sola, tanto per il nome. Sembra che abbia un tremendo cachet farsi chiamare signora Tal dei Tali, dopo. Oh, ma è impossibile! Stava guardando la sveglia sul tavolo. - Non possono essere le quattro e mezzo. Le finestre si stavano sfumando d'azzurro. La brezza mattutina faceva ondeggiare le tende. - Che giorno è oggi? - Giovedì. - Giovedì. Si alzò. - Oh Dio, - esclamò, e tornò a mettersi a sedere, con un gemito. -È spaventoso. Mi sentivo troppo stanco per essere curioso. Mi sdraiai sul letto e chiusi gli occhi. Ma poi non riuscii a resistere. - Che cosa c'è di tanto spaventoso nel giovedì? - Niente. Solo che non riesco mai a ricordarmi quando arriva. Vedete, il giovedì devo prendere l'otto e quarantacinque. Sono maledettamente pignoli per gli orari di visita, e così se arrivate là per le dieci avete un'ora prima che quei poveri diavoli pranzino. Pensate un po', pranzare alle undici. Si può anche andare alle due, e io lo preferirei, ma a lui piace che vada al mattino, dice che gli dà tono per tutto il resto della giornata. Devo restare sveglia, - dichiarò, pizzicandosi le guance fino a farle diventare rosse, -non c'è tempo per dormire, sembrerei tisica, cadrei a pezzi e non sarebbe onesto; una ragazza non può andare a Sing Sing con la faccia verde... - Credo di no. La collera che avevo provato per il mio racconto andava scemando, la ragazza aveva catturato di nuovo la mia attenzione. - Tutti i visitatori fanno il possibile per apparire in gran forma, e fa tenerezza. È maledettamente bello vedere le donne mettersi addosso la loro roba più elegante, le vecchie, voglio dire, e quelle veramente povere; fanno degli sforzi commoventi per apparire graziose e per sapere di buono anche, e io gli voglio bene per questo. Anche ai ragazzini voglio bene, specialmente a quelli negri. I marmocchi che le mogli si portano dietro, voglio dire. Dovrebbe essere triste vedere dei marmocchi là dentro, e invece non lo è, hanno nastri nei capelli e un mucchio di lucido sulle scarpe, viene quasi da pensare che stia per arrivare il gelato; e qualche volta la sala delle visite fa pensare proprio a questo, a una festa. In ogni modo, non è come al cinema, sapete, niente cupi sussurri attraverso una grata. Non c'è grata, c'è solo un banco fra voi e loro, e i marmocchi possono andarci sopra in piedi per farsi coccolare ; per baciare qualcuno basta piegarsi un po' in avanti. E quello che mi piace di più è che sono così felici di vedersi, hanno una tale riserva di cose da dirsi, che non è possibile che si annoino; continuano a ridere e a tenersi per mano. Più tardi è diverso, - continuò. -Li vedo sul treno. Siedono immobili e guardano il fiume che corre fuori dal finestrino. Si portò una ciocca di capelli a un angolo della bocca e prese a mordicchiarla, pensierosa. - Vi tengo sveglio. Mettetevi a dormire. - Vi prego ! Quel che dite mi interessa. - Lo so. Per questo voglio che vi mettiate a dormire. Perchè, se continuo, finirò per parlarvi di Sally. E non so se sarebbe giusto. Masticò i capelli, in silenzio. - Non mi hanno mai detto di non parlarne con gli altri. Non chiaro e tondo. Ed è una faccenda buffa. Forse potreste metterla in un racconto con nomi diversi e che so io. Statemi a sentire, Fred, - disse, allungando la mano per prendere un'altra mela, -dovete segnarvi sul cuore e baciarvi il gomito... Forse i contorsionisti riescono a baciarsi il gomito; lei dovette accontentarsi di un'approssimazione. - Bene, - disse, con la bocca piena, -può darsi che abbiate letto di lui sui giornali. Si chiama Sally Tomato, e io parlo l'ebraico meglio di quanto lui parli l'inglese; ma è un simpatico vecchio, molto religioso. Sembrerebbe un frate, se non fosse per i denti d'oro; dice che prega per me tutte le sere. Naturalmente, non è mai stato il mio amante, anzi, l'ho conosciuto quando era già in prigione. Ma adesso lo adoro, dopo tutto sono sette, mesi che vado a trovarlo ogni giovedì, e credo che ci andrei anche se non mi pagasse. È marcia, questa, » osservò, e fece volar fuori dalla finestra il resto della mela. - A proposito, conoscevo di vista Sally. Veniva al bar di Joe Bell, quello qui all'angolo; non parlava mai con nessuno, se ne stava lì, semplicemente, come quelli che fan vita d'albergo. Ma è buffo ripensarci e capire con quanta attenzione deve avermi osservato, perchè lo avevano appena messo dentro (Joe Bell mi ha fatto vedere la sua fotografia sui giornali. Mano nera. Mafia. Robetta del genere ; ma gli hanno dato cinque anni) quando è arrivato quel telegramma da un avvocato. Diceva di mettermi subito in contatto con lui per informazioni che potevano interessarmi. - Avrete pensato che qualcuno vi avesse lasciato un milione... - Niente affatto. Ho pensato che Bergdorf cercava di incassare. Ma ho corso il rischio e sono andata a trovare questo avvocato (ammesso che sia un avvocato, cosa di cui dubito, perchè a quanto sembra non ha un ufficio, ha solo un recapito, e fissa sempre gli appuntamenti all'Hamburg Heaven; perchè è grasso ed è capace di mangiarsi dieci bistecche di carne trita, due vasetti di sottaceti e un intero pasticcio di meringa al limone). Mi ha domandato se mi andava l'idea di rallegrare un vecchio solitario guadagnandomi un centone la settimana. Sentite un po', tesoro, gli ho risposto, avete sbagliato signorina Golightly, io non sono un'infermiera a tutto fare. E nemmeno l'onorario mi aveva particolarmente impressionata; si può guadagnare altrettanto andando alla toletta; qualsiasi gentiluomo con un minimo di chic vi darà un cinquanta per la custode del gabinetto, e io chiedo sempre anche i soldi per il taxi, che fa un altro cinquanta. Ma poi lui mi ha spiegato che il suo cliente era Sally Tomato. Ha detto che il caro e vecchio Sally mi ammirava da un pezzo à la distance e che sarebbe stata veramente un'opera buona se fossi andata a trovarlo una volta alla settimana. Bene, non potevo rispondere di no: era troppo romantico. - Non so. Non mi pare una storia giusta. Sorrise. - Pensate che vi racconti frottole? - Innanzitutto, non danno così, a chiunque, il permesso di visitare un detenuto. - Oh, no, infatti. Fanno un mucchio di difficoltà barbosissime. Per loro, sono sua nipote. - E tutto è così semplice? Per una chiacchierata di un'ora, vi dà cento dollari? - Non lui, me li dà il suo avvocato. Il signor O'Shaughnessy me li manda in contanti non appena gli lascio il bollettino meteorologico. - Credo che finirete per ficcarvi in un mucchio di guai, - dissi, e spensi una lampada; non ce n'era più bisogno ormai, il mattino era nella stanza e i piccioni stavano gargarizzando sulla scala di soccorso. - E come? - mi domandò, seria. - Nel codice dev'esserci qualcosa sulle false generalità. In fondo, voi, non siete sua nipote. E che cos'è questa storia del bollettino meteorologico? Soffocò uno sbadiglio a schiaffetti. - Oh, non è niente. Sono messaggi che lascio al suo recapito, di modo che il signor O'Shaughnessy abbia la sicurezza che sono stata là. Sally mi dice quello che devo dire, cose come, oh... "c'è un uragano a Cuba" e "nevica a Palermo". Non preoccupatevi, tesoro, - disse avvicinandosi al letto. - È da un pezzo che so badare a me stessa. La luce del mattino sembrava attraversarla; mentre mi rimboccava le coperte fino al mento, scintillava come una bambina trasparente; poi si allungò accanto a me. - Vi dispiace? Voglio riposare solo un momento. Così, non dite una parola di più. Dormite. Finsi di dormire, e cominciai a respirare profondamente, con ritmo regolare. Le campane della chiesa vicina suonarono la mezza, l'ora. Erano le sei quando mi posò una mano sul braccio, un tocco fragile, attento a non svegliarmi. - Povero Fred, - bisbigliò, e sembrava che parlasse a me, ma non era così. - Dove sei, Fred? Perchè fa freddo. C'è neve nel vento. La sua guancia si appoggiò alla mia spalla, un peso tiepido, umido. - Perchè piangete? Si ritrasse di scatto, si mise a sedere. - Oh, per l'amor di Dio! - esclamò, dirigendosi verso la finestra e la scala di soccorso. - Odio gli spioni, io. L'indomani, venerdì, quando tornai a casa, trovai davanti alla porta un lussuoso cestino di frutta esotica, con il biglietto da visita : Signorina Holiday Golightly, in transito; e sul retro era scarabocchiato, in calligrafia fantasiosa, goffa, infantile: Che Dio vi benedica, Fred caro; vi prego, dimenticate ieri. sera. Siete stato un angelo, per tutto. Mille tendresses - Holly. P. S. Non vi seccherò più. Risposi: Seccatemi ancora, vi prego, e lasciai il biglietto davanti alla sua porta con quello che potevo permettermi, un mazzo di viole comperate per strada. Ma a quanto pareva, la signorina Golightly aveva intenzione di fare sul serio: non la vidi più, non ebbi sue notizie e venni alla conclusione che era arrivata a procurarsi la chiave d'ingresso. In ogni modo, non suonò più il mio campanello. Era una cosa di cui sentivo la mancanza, e man mano che i giorni si fondevano l'uno nell'altro, cominciai a sentire nei suoi confronti qualcosa di simile a un vago astio, come se fossi stato trascurato dal mio più caro amico. Nella mia vita si insinuò una solitudine inquietante che però non mi spingeva a cercare la compagnia degli amici di più lunga data: ormai mi sembravano una dieta priva di sale e di zucchero. Al mercoledì il pensiero di Holly, di Sing Sing, di Sally Tomato, degli ambienti dove gli uomini sputano cinquanta dollari per la toletta mi ossessionava al punto che non riuscivo più a lavorare. Quella sera lasciai un biglietto nella sua casella delle lettere: Domani è giovedì. La mattina seguente lei mi ricompensò con un secondo biglietto scarabocchiato con una grafia infantile : Che Dio vi benedica per avermelo ricordato. Potete venire a bere qualcosa da me, stasera, verso le sei? Aspettai fino alle sei e dieci, poi mi costrinsi a ritardare di altri cinque minuti. Venne ad aprirmi un tale. Odorava di sigaro e di colonia Knize. Le sue scarpe avevano tacchi altissimi: senza quei centimetri extra sarebbe stato un tappo. La testa, calva e chiazzata da efelidi, era sproporzionata come quella di un nano e adorna di due orecchie appuntite, assolutamente simili a quelle di un elfo. Aveva gli occhi di un pechinese, spietati e un po' sporgenti. Ciuffi di peli gli spuntavano dalle orecchie e dal naso, le guance, pendule, erano grigie di barba pomeridiana, la sua stretta di mano aveva qualcosa di viscido. - La piccola è sotto la doccia, - disse, accennando col sigaro verso uno scroscio d'acqua in un altro locale. La stanza dov'eravamo (in piedi, perchè non c'era dove sedersi) dava l'idea che il trasloco non fosse ancora terminato; ci si aspettava di sentire odore di vernice fresca. L'arredamento consisteva in valigie e casse non ancora disfatte. Le casse servivano da tavoli. Una reggeva tutto il necessario per il Martini, un'altra una lampada, un Libertyphone, il gatto rosso di Holly e un vaso di rose gialle. Gli scaffali, che coprivano una parete, sfoggiavano un mezzo ripiano di letteratura. Quella stanza mi entusiasmò subito, mi piaceva il suo aspetto provvisorio. L'uomo si schiarì la gola. - Siete aspettato? Il mio cenno di assenso gli parve malsicuro. I suoi occhi mi dissezionavano, compiendo nette incisioni esplorative. - Capita un mucchio di gente, qui, che non è invitata. Conoscete la piccola da molto tempo? - No, - dissi. - Allora non conoscete la piccola da molto tempo? - Abito qui di sopra. La mia risposta parve abbastanza esauriente da calmarlo. - Il vostro appartamento allora è eguale? - Molto più piccolo. Scosse la cenere sul pavimento. - Questa è una topaia. Incredibile. Ma la piccola non sa stare al mondo nemmeno quando ha un mucchio di soldi. La sua voce aveva il ritmo scattante, metallico, di una telescrivente. - Allora, - domandò, -che ne pensate? Lo è o non lo è? - Che cosa non è? - Una montatura. - Non ci ho mai pensato. - Avete torto. È una montatura. Ma, in un altro senso, avete ragione. Non è una montatura perchè è una montatura autentica. È convinta di tutte le idiozie in cui crede. Impossibile dissuaderla. Io ci ho provato, con le lacrime agli occhi. Benny Polan, che è rispettato dappertutto, Benny Polan ci ha provato. Benny si era messo in testa di sposarla, ma lei non ne ha voluto sapere, Benny ha speso dei bei fogli da mille per mandarla dagli aggiustacervelli. Persino quello più famoso, quello che parla soltanto tedesco, accidenti, ha buttato la spugna. Non si può cavarle di testa quelle idee. Strinse il pugno, come per stritolare qualcosa di intangibile. - Provateci, qualche volta. Fatevi dire da lei qualcuna delle cose in cui crede. E intendiamoci bene, - continuò, -mi è simpatica, la ragazzina. È simpatica a tutti, ma c'è anche moltissima gente che non la può sopportare. A me è simpatica. È simpatica davvero, la ragazzina. Sono sensibile, io, ecco perchè. Bisogna essere sensibili per apprezzarla, bisogna avere una vena di poeta. Ma voglio dirvi la verità. Potete farvi a pezzi per lei, e lei vi servirà merda su un piatto. Per darvi un esempio: chi è, lei, oggi come oggi? È la tipica ragazza della quale si legge qualcosa sui giornali quando sbatte giù un flacone di barbiturici. È una cosa che ho visto succedere tante di quelle volte, che per contarle non avete abbastanza dita nelle mani e nei piedi; e non erano nemmeno matte, quelle ragazze. Lei, invece, è matta. - Ma giovane. E ha ancora tanta giovinezza davanti. - Se intendete futuro, vi sbagliate di nuovo. Un paio di anni fa, sulla Costa, sarebbe potuto essere diverso. Aveva un certo non so che, li avrebbe interessati, avrebbe potuto far quattrini a palate. Ma quando si butta via un'occasione del genere, non la si ritrova più. Domandatelo a Luise Rainer. E la Rainer era una diva. Holly non era una diva, certo; non è mai uscita dal reparto foto pubblicitarie. Ma era prima della Storia del dottor Wassell. Allora sì che avrebbe potuto far quattrini a palate. Lo so, capite, perchè sono stato io a darle la spinta. Accennò a se stesso con il sigaro. «O. J. Berman.» Si aspettava di essere riconosciuto, e non mi peritai di accontentarlo; non ci vedevo niente di male, a parte il fatto che non avevo mai sentito nominare O. J. Berman. Risultò poi che era il titolare di un'agenzia artistica a Hollywood. - Sono stato il primo a notarla. A Santa Anita. Girava tutti i giorni per l'ippodromo. Mi sento attratto, dal punto di vista professionale. Vengo a sapere che è l'amica di un fantino e che vive con lui. Faccio agganciare il tizietto e gli mando a dire: piantala se non vuoi avere una conversazione poco simpatica con la squadra del buon costume; la ragazzina ha quindici anni, capite. Ma ha classe, lei, è a posto, e riesce a spuntarla. Anche quando porta occhiali grossi così, anche quando apre la bocca e non si capisce se viene giù dalle montagne, se è una campagnola o chissà che. E io non lo so ancora. Secondo me, nessuno saprà mai da che parte è saltata fuori. È così bugiarda che forse non lo sa più nemmeno lei. Ci è voluto più di un anno per toglierle quell'accento. Per riuscirci, alla fine, le abbiamo fatto dare lezioni di francese; quando ce l'ha fatta a imitare il francese, non ci ha messo molto a imitare l'inglese. L'abbiamo modellata sul tipo di Margaret Sullavan, ma lei ci metteva parecchie curve di suo, e tutti hanno cominciato a interessarsi, i pezzi grossi soprattutto, e alle fine Benny Polan, un tipo rispettabilissimo, Benny ha chiesto di sposarla. Che cosa potrebbe desiderare di più un agente? E poi, pam! La storia del dottor Wosseli. Avete visto il film? Cecil B. De Mille, Gary Cooper. Gesù. Sputo l'anima e organizzo tutto: le faranno un provino per la parte dell'infermiera del dottor Wassell. Di ima delle infermiere, per lo meno. E poi, pam! Suona il telefono. » Sollevò un ricevitore inesistente e se lo avvicinò all'orecchio. « Parla Holly, dice lei, mi sembri molto lontana, cara, dico io, sono a New York, dice lei, e io dico, e che cosa diavolo stai facendo a New York che è domenica e hai il provino domani? Sono a New York, dice lei, perchè non ci ero mai stata. Io le dico, piazza il culo su un aereo e torna qui, e lei dice che non ne vuole sapere. Ma che cosa ti salta in testa, pupa? dico io. Lei dice, tu devi per forza volere che tutto vada bene e io non voglio; io dico, che accidente vuoi? E lei dice, quando lo scoprirò sarai il primo a saperlo. Capite che cosa voglio dire? Merda su un piatto. Il gatto saltò giù dalla cassa e andò a sfregarsi contro una gamba di Berman. Lui lo sollevò sulla punta della scarpa e lo fece volare, un gesto odioso, però mi ebbe l'aria di non accorgersi nemmeno del gatto, solo della propria irritazione. - È questo che vuole? - domandò, roteando le braccia. - Un mucchio di individui che neppure ha invitato? Vivere di mance. Andare in giro con tipi ambigui. Per riuscire, forse che sì, forse che no, a sposare Rusty Trawler? Bisognerebbe darle una medaglia per questo? Aspettò, guardandomi fisso. - Scusatemi, non lo conosco. - Se non conoscete Rusty Trawler, non potete saperla lunga sulla piccola. Brutta faccenda, - osservò, e fece schioccare la lingua. - Speravo che aveste una certa influenza su di lei. Che poteste rimetterla in carreggiata prima che sia tardi. - Ma, secondo voi, non è già tardi? Soffiò un anello di fumo e lasciò che si dissolvesse prima di sorridere. Il sorriso gli alterò il viso, creò qualcosa di gentile. - Potrei rimettere in moto la baracca. Come vi ho già detto, - continuò, e in quel momento aveva un tono sincero, -la piccola mi è davvero simpatica. - Quali scandali stai diffondendo, O. J.? Holly si precipitò nella stanza, avvolta alla meno peggio in un asciugamano, coi piedi che lasciavano impronte umide sul pavimento. - Il solito, naturalmente. Che tu sei pazza. - Fred lo sa già. - Ma tu no. - Accendimi una sigaretta, tesoro, - ordinò togliendosi la cuffia da bagno e scotendo i capelli. - Non dico a te, O. J. Sei un tale pasticcione. Sbavi sempre tutto. Prese a volo il gatto e se lo issò su una spalla. Lui ci si appollaiò con l'equilibrio di un uccello, le unghie affondate nei capelli, come se facesse la calza; ma, nonostante queste simpatiche familiarità, era un gattaccio con un'espressione da pirata tagliagole, aveva un occhio guercio e l'altro splendeva di cupi presagi. - O. J. è un impiastro, - dichiarò Holly, prendendo la sigaretta che le avevo acceso. -Però sa un numero spaventoso di numeri telefonici. Qual è il numero di David O. Selznick, O. J.? - Lascia perdere. - Ma non scherzo affatto, tesoro. Voglio che tu lo chiami e gli dica che Fred è un genio. Ha scritto quintali di racconti assolutamente meravigliosi. Non arrossire adesso, Fred; non sei stato tu a dire che sei un genio, sono stata io. Avanti, O. J. Che cos'hai intenzione di fare perchè Fred diventi ricco? - Forse sarebbe meglio che mi mettessi d'accordo direttamente con Fred. - Ricordatelo, - disse Holly, mentre usciva. -Io sono il suo agente. Un'altra cosa: se chiamo, vieni a chiudermi la lampo. E se qualcuno bussa, lascialo entrare. Arrivò una vera folla. Nel quarto d'ora seguente un folto gruppo di uomini invase l'appartamento; parecchi erano in divisa. Notai due ufficiali di marina e un colonnello dell'aeronautica. Ma i militari erano sopraffatti dal numero degli individui brizzolati che avevano superato da un pezzo l'età del servizio attivo. Salvo la mancanza di giovinezza, gli ospiti non avevano nulla in comune, sembravano estranei fra estranei; anzi, ogni viso, all'atto dell'ingresso aveva lottato per nascondere lo sgomento alla vista degli altri. Pareva che la padrona di casa avesse distribuito gli inviti mentre zigzagava per i bar, e le cose, con ogni probabilità, erano andate proprio così. Ma, dopo i cipigli iniziali, gli ospiti facevano gruppo, senza brontolare, in particolar modo O. J. Berman, che sfruttava evidentemente la nuova compagnia per evitare di discutere il mio futuro hollywoodiano. Rimasi abbandonato accanto agli scaffali dei libri; più della metà riguardavano i cavalli, gli altri il baseball. Fingendo di interessarmi a I cavalli e come distinguerli, trovai modo di valutare a mio agio gli amici di Holly. A un certo punto uno cominciò a emergere. Era un marmocchio di mezza età che non aveva mai perduto il grasso infantile, anche se un sarto di talento era quasi riuscito a nascondere il suo sedere paffuto, da sculaccioni. Non c'era un sospetto di osso nel suo corpo; il viso, uno zero riempito da lineamenti graziosi e minuscoli, aveva qualcosa di intatto, di virginale: pareva che fosse nato e poi si fosse dilatato, con la pelle liscia come quella di un pallone ben gonfio, e la bocca, sempre pronta e alle bizze e ai piagnistei, come una graziosa smorfietta viziata. Ma non era il suo aspetto a farlo spiccare fra , gli altri; gli infanti conservati non sono rari a questo punto. Era, piuttosto, il suo modo di fare, perchè si comportava come se la festa fosse sua: come una piovra carica di energia, preparava Martini, faceva presentazioni, badava al fonografo. Per essere sinceri, molte delle sue attività gli venivano suggerite dalla padrona di casa: Rusty, se non ti dispiace; Rusty, per piacere. Se era geloso di lei, evidentemente sapeva tenere a bada la sua gelosia. Un uomo geloso avrebbe perso il controllo a vederla svolazzare per la stanza, il gatto in una mano e l'altra libera per raddrizzare cravatte e togliere bioccoli dai risvolti; il colonnello dell'aeronautica aveva una medaglia che richiese una lucidatura molto accurata.
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