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Книга «Маленький принц» (Il Piccolo Principe) на итальянском языке – читать онлайн

Книга «Маленький принц» (Il Piccolo Principe) на итальянском языке - читать онлайн. Сказка по форме, однако философская книга по содержанию – такое произведение создал Антуан де Сент-Экзюпери в середине 20 века. Книга была переведена на все самые распространённые языки мира, а также на многие другие (всего более 300 языков), и является одной из самых продаваемых книг до сих пор. Первоначально книга была издана в США, где жил автор сказки, и первое издание было на английском языке, а уже второе – на французском. У нас можно читать книгу «Маленький принц» (Il Piccolo Principe) не только на итальянском, но и на других языках (смотрите раздел «Книги онлайн»).

 

Другие литературные произведения на итальянском языке можно читать онлайн в разделе «Книги на итальянском». Также у нас можно смотреть онлайн фильмы и видеоуроки – раздел «Фильмы и видеоуроки на итальянском языке».

Информация для тех, кто хочет учить итальянский язык с преподавателем, есть на странице «Итальянский по скайпу».

 

Теперь переходим к чтению книги «Маленький принц» (Il Piccolo Principe) на итальянском языке.

  

Il Piccolo Principe

 

I.

Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato “Storie vissute della natura”, vidi un magnifico disegno. Rappresentava un serpente boa nell’atto di inghiottire un animale. Eccovi la copia del disegno. C’era scritto: “I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla. Dopo di che non riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede”. Meditai a lungo sulle avventure della jungla. E a mia volta riuscii a tracciare il mio primo disegno. Il mio disegno numero uno. Era così:------

 

Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava. Ma mi risposero: “ Spaventare? Perché mai, uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?” . Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Affinché vedessero chiaramente che cos’era, disegnai l’interno del boa. Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi. Il mio disegno numero due si presentava così:-----

 

Questa volta mi risposero di lasciare da parte i boa, sia di fuori che di dentro, e di applicarmi invece alla geografia, alla storia, all’aritmetica e alla grammatica. Fu così che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe potuto essere la mia gloriosa carriera di pittore. Il fallimento del mio disegno numero uno e del mio disegno numero due mi aveva disarmato. I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. Allora scelsi un’altra professione e imparai a pilotare gli aeroplani. Ho volato un pò sopra tutto il mondo: e veramente la geografia mi è stata molto utile. A colpo d’occhio posso distinguere la Cina dall’Arizona, e se uno si perde nella notte, questa sapienza è di grande aiuto.

Ho conosciuto molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l’opinione che avevo di loro non è molto migliorata. Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: “È un cappello”. E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.

 

II.

Così ho trascorso la mia vita solo, senza nessuno cui poter parlare, fino a sei anni fa quando ebbi un incidente col mio aeroplano, nel deserto del Sahara. Qualche cosa si era rotta nel motore, e siccome non avevo con me nè un meccanico, nè dei passeggeri, mi accinsi da solo a cercare di riparare il guasto. Era una questione di vita o di morte, perché avevo acqua da bere soltanto per una settimana. La prima notte, dormii sulla sabbia, a mille miglia da qualsiasi abitazione umana. Ero più isolato che un marinaio abbandonato in mezzo all’oceano, su una zattera, dopo un naufragio. Potete immaginare il mio stupore di essere svegliato all’alba da una strana vocetta:

- Mi disegni, per favore, una pecora?

- Cosa?

- Disegnami una pecora.

Balzai in piedi come fossi stato colpito da un fulmine. Mi strofinai gli occhi più volte guardandomi attentamente intorno. E vidi una straordinaria personcina che mi stava esaminando con grande serietà.

Qui potete vedere il miglior ritratto che riuscii a fare di lui, più tardi. Ma il mio disegno è molto meno affascinante del modello. La colpa non è mia, però. Con lo scoraggiamento che hanno dato i grandi, quando avevo sei anni, alla mia carriera di pittore, non ho mai imparato a disegnare altro che serpenti boa dal di fuori o serpenti boa dal di dentro. Ora guardavo fisso l’improvvisa apparizione con gli occhi fuori dall’orbita per lo stupore. Dovete pensare che mi trovavo a mille miglia da una qualsiasi regione abitata, eppure il mio ometto non sembrava smarrito in mezzo alle sabbie, nè tramortito per la fatica, o per la fame, o per la sete, o per la paura.

Niente di lui mi dava l’impressione di un bambino sperduto nel deserto, a mille miglia da qualsiasi abitazione umana. Quando finalmente potei parlare gli domandai:

- Ma che cosa fai qui?

Con tutta risposta, egli ripetè lentamente come si trattasse di cosa di molta importanza:

- Per piacere, disegnami una pecora…

Quando un mistero è così sovraccarico, non si osa disubbidire. Per assurdo che mi sembrasse, a mille miglia da ogni abitazione umana, e in pericolo di morte, tirai fuori dalla tasca un foglietto di carta e la penna stilografica. Ma poi ricordai che i miei studi si erano concentrati sulla geografia, sulla storia, sull’aritmetica e sulla grammatica e gli dissi, un pò di malumore, che non sapevo disegnare. Mi rispose:

- Non importa. Disegnami una pecora…

Non avevo mai disegnato una pecora e allora feci per lui uno di quei disegni che avevo fatto tante volte: quello del boa dal di dentro; e fui sorpreso di sentirmi rispondere:

- No, no, no! Non voglio l’elefante dentro il boa. Il boa è molto pericoloso e l’elefante molto ingombrante. Dove vivo io tutto è molto piccolo. Ho bisogno di una pecora: disegnami una pecora.

Feci il disegno.

Lo guardò attentamente, e poi disse:

- No! Questa pecora è malaticcia. Fammene un’altra.

Feci un altro disegno.

Il mio amico mi sorrise gentilmente, con indulgenza.

- Lo puoi vedere da te, - disse, -che questa non è una pecora. È un ariete. Ha le corna.

Rifeci il disegno una terza volta, ma fu rifiutato come i precedenti.

- Questa è troppo vecchia. Voglio una pecora che possa vivere a lungo.

Questa volta la mia pazienza era esaurita, avevo fretta di rimettere a posto il mio motore. Buttai giù un quarto disegno. E tirai fuori questa spiegazione:

- Questa è soltanto la sua cassetta. La pecora che volevi sta dentro.

Fui molto sorpreso di vedere il viso del mio piccolo giudice illuminarsi.

- Questo è proprio quello che volevo. Pensi che questa pecora dovrà avere una gran quantità d’erba?

- Perchè?

- Perché dove vivo io, tutto è molto piccolo…

- Ci sarà certamente abbastanza erba per lei, è molto piccola la pecora che ti ho data.

Si chinò sul disegno: “Non così piccola che – oh, guarda! – si è messa a dormire…” E fu così che feci la conoscenza del piccolo principe.

 

III.

Ci misi molto tempo a capire da dove venisse. Il piccolo principe, che mi faceva una domanda dopo l'altra, pareva che non sentisse mai le mie.

Così, quando vide per la prima volta il mio aeroplano (non lo disegnerò perché sarebbe troppo complicato per me), mi domandò:

- Che cos'è questa cosa?

- Non è una cosa - vola. È un aeroplano. È il mio aeroplano". Ero molto fiero di fargli sapere che volavo.

Allora gridò: - Come? Sei caduto dal cielo!

- Si, - risposi modestamente.

- Ah! Questa è buffa...

E il piccolo principe scoppio in una bella risata che mi irritò. Voglio che le mie disgrazie siano prese sul serio.

Poi riprese:

- Allora anche tu vieni dal cielo! Di quale pianeta sei?

 

Intravvidi una luce, nel mistero della sua presenza, e lo interrogai bruscamente:

- Tu vieni dunque da un altro pianeta?

Ma non mi rispose. Scrollò gentilmente il capo osservando l'aeroplano. "Certo che su quello non puoi venire da molto lontano..." E si immerse in una lunga meditazione.

Poi, tirando fuori dalla tasca la mia pecora, sprofondò nella contemplazione del suo tesoro. Vi potete bene immaginare come io fossi incuriosito da quella mezza confidenza su "gli altri pianeti".

Cercai dunque di tirargli fuori qualche altra cosa:

- Da dove vieni, ometto? Dov'è la tua casa? Dove vuoi portare la mia pecora?

Mi rispose dopo un silenzio meditativo:

- Quello che c'è di buono, è che la cassetta che mi hai dato, le servirà da casa per la notte.

- Certo. E se sei buono ti darò pure una corda per legare la pecora durante il giorno. E un paletto.

La mia proposta scandalizzò il piccolo principe.

- Legarla? Che buffa idea!

- Ma se non la leghi andrà in giro e si perderà...

Il mio amico scoppiò in una nuova risata:

- Ma dove vuoi che vada!

- Dappertutto. Dritto davanti a sè...

E il piccolo principe mi rispose gravemente:

- Non importa, è talmente piccolo da me!" E con un pò di malinconia, forse, aggiunse: "Dritto davanti a sè non si può andare molto lontano...

 

IV.

Avevo così saputo una seconda cosa molto importante! Che il suo pianeta nativo era poco più grande di una casa. Tuttavia questo non poteva stupirmi molto.

Sapevo benissimo che, oltre ai grandi pianeti come la Terra, Giove, Marte, Venere ai quali si è dato un nome, ce ne sono centinaia ancora che sono a volte così piccoli che si arriva sì e no a vederli col telescopio.

Quando un astronomo scopre uno di questi, gli dà per nome un numero. Lo chiama per esempio: "l'asteroide 3251". Ho serie ragioni per credere che il pianeta da dove veniva il piccolo principe è l'asteroide B 612.

Questo asteroide è stato visto una sola volta al telescopio da un astronomo turco. Aveva fatto allora una grande dimostrazione della sua scoperta a un Congresso Internazionale d'Astronomia. Ma in costume com'era, nessuno lo aveva preso sul serio. I grandi sono fatti così.

Fortunatamente per la reputazione dell'asteroide B 612 un dittatore turco impose al suo popolo, sotto pena di morte, di vestire all'europea.

L'astronomo rifece la sua dimostrazione nel 1920, con un abito molto elegante. E questa volta tutto il mondo fu con lui. Se vi ho raccontato tanti particolari sull'asteroide B 612 e se vi ho rivelato il suo numero, è proprio per i grandi che amano le cifre.

Quando voi gli parlate di un nuovo amico, mai si interessano alle cose essenziali. Non si domandano mai:

- Qual'è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?

Ma vi domandano:

- Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?

 

Allora soltanto credono di conoscerlo. Se voi dite ai grandi:

- Ho visto una bella casa in mattoni rosa, con dei gerani alle finestre, e dei colombi sul tetto, loro non arrivano a immaginarsela.

Bisogna dire:

- Ho visto una casa di centomila lire, - e allora esclamano: - Com'è bella.

Così se voi gli dite:

- La prova che il piccolo principe è esistito, sta nel fatto che era bellissimo, che rideva e che voleva una pecora. Quando uno vuole una pecora è la prova che esiste.

Bè, loro alzeranno le spalle, e vi tratteranno come un bambino.

Ma se voi invece gli dite:

- Il pianeta da dove veniva è l'asteroide B 612, - allora ne sono subito convinti e vi lasciano in pace con le domande. Sono fatti così. Non c'è da prendersela. I bambini devono essere indulgenti coi grandi.

Ma certo, noi che comprendiamo la vita, noi che ce ne infischiamo dei numeri! Mi sarebbe piaciuto cominciare questo racconto come una storia di fate. Mi sarebbe piaciuto dire: "C'era una volta un piccolo principe che viveva su di un pianeta poco più grande di lui e aveva bisogno di un amico..." Per coloro che comprendono la vita, sarebbe stato molto più vero.

Perché non mi piace che si legga il mio libro alla leggera. È un grande dispiacere per me confidare questi ricordi. Sono già sei anni che il mio amico se ne è andato con la sua pecora e io cerco di descriverlo per non dimenticarlo. È triste dimenticare un amico.

E posso anch'io diventare come i grandi che non s'interessano più che di cifre. Ed è anche per questo che ho comperato una scatola coi colori e con le matite. Non è facile rimettersi al disegno alla mia età quando non si sono fatti altri tentativi che quello di un serpente boa dal di fuori e quello di un serpente boa dal di dentro, e all'età di sei anni.

Mi studierò di fare ritratti somigliantissimi. Ma non sono affatto sicuro di riuscirci. Un disegno va bene, ma l'altro non assomiglia per niente. Mi sbaglio anche sulla statura. Qui il piccolo principe è troppo grande. Là è troppo piccolo. Esito persino sul colore del suo vestito. E allora tento e tentenno, bene o male. E finirò per sbagliarmi su certi particolari più importanti. Ma questo bisogna perdonarmelo.

Il mio amico non mi dava mai delle spiegazioni. Forse credeva che fossi come lui. Io, sfortunatamente, non sapevo vedere le pecore attraverso le casse. Può darsi che io sia un pò come i grandi. Devo essere invecchiato.

 

V.

Ogni giorno imparavo qualche cosa sul pianeta, sulla partenza, sul viaggio. Veniva da sè, per qualche riflessione. Fu così che al terzo giorno conobbi il dramma dei baobab. Anche questa volta fu merito della pecora, perché bruscamente il piccolo principe mi interrogò, come preso da un grave dubbio:

- È proprio vero che le pecore mangiano gli arbusti?

- Si, è vero.

- Ah! Sono contento.

Non capii perché era così importante che le pecore mangiassero gli arbusti. Ma il piccolo principe continuò:

- Allora mangiano anche i baobab?

Feci osservare al piccolo principe che i baobab non sono degli arbusti, ma degli alberi grandi come chiese e che se anche non avesse portato con sè una mandria di elefanti, non sarebbe venuto a capo di un solo baobab.

L'idea della mandria di elefanti fece ridere il piccolo principe:

- Bisognerebbe metterli gli uni su gli altri...

Ma osservò saggiamente:

- I baobab prima di diventar grandi cominciano con l'essere piccoli.

- È esatto! Ma perché vuoi che le tue pecore mangino i piccoli baobab?

- Bè! Si capisce, - mi rispose come se si trattasse di una cosa evidente.

E mi ci volle un grande sforzo d'intelligenza per capire da solo questo problema.

Infatti, sul pianeta del piccolo principe ci sono, come su tutti i pianeti, le erbe buone e quelle cattive.

Di conseguenza: dei buoni semi di erbe buone e dei cattivi semi di erbe cattive. Ma i semi sono invisibili. Dormono nel segreto della terra fino a che all'uno o all'altro pigli la fantasia di risvegliarsi.

Allora di stira, e sospinge da principio timidamente verso il sole un bellissimo ramoscello inoffensivo. Ma se si tratta di una pianta cattiva, bisogna strapparla subito, appena la si è riconosciuta. C'erano dei terribili semi sul pianeta del piccolo principe: erano i semi dei baobab. Il suolo ne era infestato. Ora, un baobab, se si arriva troppo tardi, non si riesce più a sbarazzarsene. Ingombra tutto il pianeta. Lo trapassa con le sue radici. E se il pianeta è troppo piccolo e i baobab troppo numerosi, lo fanno scoppiare.

- È una questione di disciplina, - mi diceva più tardi il piccolo principe.

- Quando si ha finito di lavarsi al mattino, bisogna fare con cura la pulizia del pianeta. Bisogna costringersi regolarmente a strappare i baobab appena li si distingue dai rosai ai quali assomigliano molto quando sono piccoli.

È un lavoro molto noioso, ma facile.

- E un giorno mi consigliò di fare un bel disegno per far entrare bene questa idea nella testa dei bambini del mio paese.

- Se un giorno viaggeranno , - mi diceva, -questo consiglio gli potrà servire. Qualche volta è senza inconvenienti rimettere a più tardi il proprio lavoro. Ma se si tratta dei baobab è sempre una catastrofe. Ho conosciuto un pianeta abitato da un pigro. Aveva trascurato gli arbusti...

E sull'indicazione del piccolo principe ho disegnato quel pianeta. Non mi piace prendere il tono del moralista. Ma il pericolo dei baobab è così poco conosciuto, e i rischi che correrebbe chi si smarrisse su un asteroide, così gravi, che una volta tanto ho fatto eccezione.

E dico:

- Bambini! Fate attenzione ai baobab!

E per avvertire i miei amici di un pericolo che hanno sempre sfiorato, come me stesso, senza conoscerlo, ho tanto lavorato a questo disegno. La lezione che davo, giustificava la fatica.

Voi mi domanderete forse: Perché non ci sono in questo libro altri disegni altrettanto grandiosi come quello dei baobab? La risposta è molto semplice: Ho cercato di farne uno, ma non ci sono riuscito. Quando ho disegnato i baobab ero animato dal sentimento dell'urgenza.

 

VI.

Oh, piccolo principe, ho capito a poco a poco la tua piccola vita malinconica. Per molto tempo tu non avevi avuto per distrazione che la dolcezza dei tramonti. Ho appreso questo nuovo particolare il quarto giorno, al mattino, quando mi hai detto:

- Mi piacciono tanto i tramonti. Andiamo a vedere un tramonto...

- Ma bisogna aspettare...

- Aspettare che?

- Che il sole tramonti...

Da prima hai avuto un'aria molto sorpresa, e poi hai riso di te stesso e mi hai detto:

- Mi credo sempre a casa mia!...

Infatti. Quando agli Stati Uniti è mezzogiorno tutto il mondo sa che il sole tramonta sulla Francia. Basterebbe poter andare in Francia in un minuto per assistere al tramonto. Sfortunatamente la Francia è troppo lontana. Ma sul tuo piccolo pianeta ti bastava spostare la tua sedia di qualche passo. E guardavi il crepuscolo tutte le volte che volevi...

- Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatrè volte!

E più tardi hai soggiunto:

- Sai... quando si è molto tristi si amano i tramonti...

- Il giorno delle quarantatrè volte eri tanto triste?

Ma il piccolo principe non rispose.

 

VII.

Al quinto giorno, sempre grazie alla pecora, mi fu svelato questo segreto della vita del piccolo principe. Mi domandò bruscamente, senza preamboli, come il frutto di un problema meditato a lungo in silenzio:

- Una pecora se mangia gli arbusti, mangia anche i fiori?

- Una pecora mangia tutto quello che trova.

- Anche i fiori che hanno le spine?

- Si. Anche i fiori che hanno le spine.

- Ma allora le spine a che cosa servono?

Non lo sapevo. Ero in quel momento occupatissimo a cercare di svitare un bullone troppo stretto del mio motore. Ero preoccupato perché la mia panne cominciava ad apparirmi molto grave e l'acqua da bere che si consumava mi faceva temere il peggio.

- Le spine a che cosa servono?

Il piccolo principe non rinunciava mai a una domanda che aveva fatta. Ero irritato per il mio bullone e risposi a casaccio:

- Le spine non servono a niente, è pura cattiveria da parte dei fiori.

- Oh!

Ma dopo un silenzio mi gettò in viso con una specie di rancore:

- Non ti credo! I fiori sono deboli. Sono ingenui. Si rassicurano come possono. Si credono terribili con le loro spine... Non risposi. In quel momento mi dicevo:

- Se questo bullone resiste ancora, lo farò saltare con un colpo di martello.

Il piccolo principe disturbò di nuovo le mie riflessioni.

- E tu credi, tu, che i fiori...

- Ma no! Ma no! Non credo niente! Ho risposto una cosa qualsiasi. Mi occupo di cose serie, io!

Mi guardò stupefatto.

- Di cose serie!

Mi vedeva col martello in mano, le dita nere di sugna, chinato su un oggetto che gli sembrava molto brutto.

- Parli come i grandi!"

Ne ebbi un pò di vergogna. Ma, senza pietà, aggiunse: "Tu confondi tutto... tu mescoli tutto!" Era veramente irritato. Scuoteva al vento i suoi capelli dorati. "Io non conosco un pianeta su cui c'è un signor Chermisi. Non ha mai respirato un fiore. Non ha mai guardato una stella. Non ha mai voluto bene a nessuno. Non fa altro che addizioni.

E tutto il giorno ripete come te:

- Io sono un uomo serio! Io sono un uomo serio! - e si gonfia di orgoglio. Ma non è un uomo, è un fungo!

- Che cosa?

- Un fungo!

Il piccolo principe adesso era bianco di collera.

- Da migliaia di anni i fiori fabbricano le spine . Da migliaia di anni le pecore mangiano tuttavia i fiori. E non è una cosa seria cercare di capire perché i fiori si danno tanto da fare per fabbricarsi delle spine che non servono a niente? Non è importante la guerra fra le pecore e i fiori? Non è più serio e più importante delle addizioni di un grosso signore rosso? E se io conosco un fiore unico al mondo, che non esiste da nessuna parte, altro che nel mio pianeta, e che una piccola pecora può distruggere di colpo, così un mattino, senza rendersi conto di quello che fa, non è importante questo!

Arrossì, poi riprese:

- Se qualcuno ama un fiore, di cui esiste un solo esemplare in milioni e milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda. E lui si dice: <Il mio fiore è là in qualche luogo> Ma se la pecora mangia il fiore, è come se per lui tutto a un tratto, tutte le stelle si spegnessero! E non è importante questo!

Non potè proseguire. Scoppiò bruscamente in singhiozzi.

Era caduta la notte. Avevo abbandonato i miei utensili. Me ne infischiavo del mio martello, del mio bullone, della sete e della morte. Su di una stella, un pianeta, il mio, la Terra, c'era un piccolo principe da consolare! Lo presi in braccio. Lo cullai. Gli dicevo:

- Il fiore che tu ami non è in pericolo ... Disegnerò una museruola per la tua pecora... e una corazza per il tuo fiore... Io...

Non sapevo bene che cosa dirgli. Mi sentivo molto maldestro. Non sapevo bene come toccarlo, come raggiungerlo... Il paese delle lacrime è così misterioso.

 

VIII.

Imparai ben presto a conoscere meglio questo fiore. C'erano sempre stati sul pianeta del piccolo principe dei fiori molto semplici, ornati di una sola raggiera di petali, che non tenevano posto e non disturbavano nessuno. Apparivano un mattino nell'erba e si spegnevano la sera. Ma questo era spuntato un giorno, da un seme venuto chissà da dove, e il piccolo principe aveva sorvegliato da vicino questo ramoscello che non assomigliava a nessun altro ramoscello. Poteva essere una nuova specie di baobab. Ma l'arbusto cessò presto di crescere e cominciò a preparare un fiore. Il piccolo principe che assisteva alla formazione di un bocciolo enorme, sentiva che ne sarebbe uscita un'apparizione miracolosa, ma il fiore non smetteva più di prepararsi ad essere bello, al riparo della sua camera verde. Sceglieva con cura i suoi colori, si vestiva lentamente, aggiustava i suoi petali ad uno ad uno. Non voleva uscire sgualcito come un papavero. Non voleva apparire che nel pieno splendore della sua bellezza. Eh, si, c'era una gran civetteria in tutto questo! La sua misteriosa toeletta era durata giorni e giorni. E poi, ecco che un mattino, proprio all'ora del levar del sole, si era mostrato. E lui, che aveva lavorato con tanta precisione, disse sbadigliando:

- Ah! mi sveglio ora. Ti chiedo scusa... sono ancora tutto spettinato...

Il piccolo principe allora non potè frenare la sua ammirazione:

- Come sei bello !

- Vero, - rispose dolcemente il fiore, -e sono insieme al sole...

Il piccolo principe indovinò che non era molto modesto, ma era così commovente!

- Credo che sia l'ora del caffè e latte, - aveva soggiunto, -vorresti pensare a me...

E il piccolo principe, tutto confuso, andò a cercare un innaffiatoio di acqua fresca e servì al fiore la sua colazione.

Così l'aveva ben presto tormentato con la sua vanità un poco ombrosa. Per esempio, un giorno, parlando delle sue quattro spine, gli aveva detto:

- Possono venire le tigri, con i loro artigli!

- Non ci sono tigri sul mio pianeta, - aveva obiettato il piccolo principe, -e poi le tigri non mangiano l'erba.

- Io non sono un'erba, - aveva dolcemente risposto il fiore.

- Scusami...

- Non ho paura delle tigri, ma ho orrore delle correnti d'aria... Non avresti per caso un paravento?

- Orrore delle correnti d'aria?

- È un pò grave per una pianta, - aveva osservato il piccolo principe.

- È molto complicato questo fiore...

- Alla sera mi metterai al riparo sotto a una campana di vetro. Fa molto freddo qui da te... Non è una sistemazione che mi soddisfi. Da dove vengo io...

Ma si era interrotto. Era venuto sotto forma di seme. Non poteva conoscere nulla degli altri mondi. Umiliato di essersi lasciato sorprendere a dire una bugia così ingenua, aveva tossito due o tre volte, per mettere il piccolo principe dalla parte del torto...

- È questo un paravento?...

- Andavo a cercarlo, ma tu non mi parlavi!

Allora aveva forzato la sua tosse per fargli venire dei rimorsi. Così il piccolo principe, nonostante tutta la buona volontà del suo amore, aveva cominciato a dubitare di lui.

Aveva preso sul serio delle parole senza importanza che l'avevano reso infelice.

- Avrei dovuto non ascoltarlo, - mi confidò un giorno, -non bisogna mai ascoltare i fiori. Basta guardarli e respirarli. Il mio, profumava il mio pianeta, ma non sapevo rallegrarmene. Quella storia degli artigli, che mi aveva tanto raggelato, avrebbe dovuto intenerirmi.

E mi confidò ancora:

- Non ho saputo capire niente allora! Avrei dovuto giudicarlo dagli atti, non dalle parole. Mi profumava e mi illuminava. Non avrei mai dovuto venirmene via! Avrei dovuto indovinare la sua tenerezza dietro le piccole astuzie. I fiori sono così contraddittori! Ma ero troppo giovane per saperlo amare.

 

IX.

Io credo che egli approfittò, per venirsene via, di una migrazione di uccelli selvatici. Il mattino della partenza mise bene in ordine il suo pianeta. Spazzò accuratamente il camino dei suoi vulcani in attività. Possedeva due vulcani in attività. Ed era molto comodo per far scaldare la colazione del mattino. E possedeva anche un vulcano spento. Ma, come lui diceva, "non si sa mai" e così spazzò anche il camino del vulcano spento.

Se i camini sono ben puliti, bruciano piano piano, regolarmente, senza eruzioni. Le eruzioni vulcaniche sono come gli scoppi nei caminetti. È evidente che sulla nostra terra noi siamo troppo piccoli per poter spazzare il camino dei nostri vulcani ed è per questo che ci danno tanti guai. Il piccolo principe strappò anche con una certa malinconia gli ultimi germogli dei baobab. Credeva di non ritornare più. Ma tutti quei lavori consueti gli sembravano, quel mattino, estremamente dolci. E quando innaffiò per l'ultima volta il suo fiore, e si preparò a metterlo al riparo sotto la campana di vetro, scoprì che aveva una gran voglia di piangere.

- Addio, - disse al fiore. Ma il fiore non rispose.

- Addio, - ripetè. Il fiore tossì. Ma no era perché fosse raffreddato.

- Sono stato uno sciocco, - disse finalmente, -scusami, e cerca di essere felice.

Fu sorpreso dalla mancanza di rimproveri. Ne rimase sconcertato, con la campana di vetro per aria. Non capiva quella calma dolcezza.

- Ma sì, ti voglio bene, - disse il fiore, -e tu non l'hai saputo per colpa mia. Questo non ha importanza, ma sei stato sciocco quanto me. Cerca di essere felice. Lascia questa campana di vetro, non la voglio più.

- Ma il vento...

- Non sono così raffreddato. L'aria fresca della notte mi farà bene. Sono un fiore.

- Ma le bestie...

- Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle. Se no chi verrà a farmi visita? Tu sarai lontano e delle grosse bestie non ho paura. Ho i miei artigli.

E mostrava ingenuamente le sue quattro spine. Poi continuò:

- Non indugiare così, è irritante. Hai deciso di partire e allora vattene.

Perché non voleva che io lo vedessi piangere. Era un fiore così orgoglioso...

 

X.

Il piccolo principe si trovava nella regione degli asteroidi 325, 326, 327, 328, 329 e 330. Cominciò a visitarli per cercare un'occupazione e per istruirsi. Il primo asteroide era abitato da un re. Il re, vestito di porpora e d'ermellino, sedeva su un trono molto semplice e nello stesso tempo maestoso.

- Ah! ecco un suddito, - esclamò il re appena vide il piccolo principe. E il piccolo principe si domandò:

- Come può riconoscermi se non mi ha mai visto?

Non sapeva che per i re il mondo è molto semplificato. Tutti gli uomini sono dei sudditi.

- Avvicinati che ti veda meglio, - gli disse il re che era molto fiero di essere finalmente re per qualcuno. Il piccolo principe cercò con gli occhi dove potersi sedere, ma il pianeta era tutto occupato dal magnifico manto di ermellino. Dovette rimanere in piedi, ma era tanto stanco che sbadigliò.

- È contro all'etichetta sbadigliare alla presenza di un re, - gli disse il monarca, -te lo proibisco.

- Non posso farne a meno, - rispose tutto confuso il piccolo principe.

- Ho fatto un lungo viaggio e non ho dormito...

- Allora, - gli disse il re, -ti ordino di sbadigliare. Sono anni che non vedo qualcuno che sbadiglia, e gli sbadigli sono una curiosità per me. Avanti! Sbadiglia ancora. È un ordine.

- Mi avete intimidito... non posso più, - disse il piccolo principe arrossendo.

- Hum! hum! - rispose il re. -Allora io... io ti ordino di sbadigliare un pò e un pò...

Borbottò qualche cosa e sembrò seccato. Perché il re teneva assolutamente a che la sua autorità fosse rispettata. Non tollerava la disubbidienza. Era un monarca assoluto. Ma siccome era molto buono, dava degli ordini ragionevoli.

- Se ordinassi, - diceva abitualmente, -se ordinassi a un generale di trasformarsi in un uccello marino, e se il generale non ubbidisse, non sarebbe colpa del generale. Sarebbe colpa mia.

- Posso sedermi? - s'informò timidamente il piccolo principe.

- Ti ordino di sederti, - gli rispose il re che ritirò maestosamente una falda del suo mantello di ermellino. Il piccolo principe era molto stupito. Il pianeta era piccolissimo e allora su che cosa il re poteva regnare?

- Sire, - gli disse, - scusatemi se vi interrogo...

- Ti ordino di interrogarmi, - si affrettò a rispondere il re.

- Sire, su che cosa regnate?

- Su tutto, - rispose il re con grande semplicità.

- Su tutto?

Il re con un gesto discreto indicò il suo pianeta, gli altri pianeti, e le stelle.

- Su tutto questo? - domandò il piccolo principe.

- Su tutto questo... - rispose il re.

Perché non era solamente un monarca assoluto, ma era un monarca universale.

- E le stelle vi ubbidiscono?

- Certamente, - gli disse il re.

- Mi ubbidiscono immediatamente. Non tollero l'indisciplina.

Un tale potere meravigliò il piccolo principe. Se l'avesse avuto lui, avrebbe potuto assistere non a quarantatrè , ma a settantadue, o anche a cento, a duecento tramonti nella stessa giornata, senza dover spostare mai la sua sedia! E sentendosi un pò triste al pensiero del suo piccolo pianeta abbandonato, si azzardò'a sollecitare una grazia dal re:

- Vorrei tanto vedere un tramonto... Fatemi questo piacere... Ordinate al sole di tramontare...

- Se ordinassi a un generale di volare da un fiore all'altro come una farfalla, o di scrivere una tragedia, o di trasformarsi in un uccello marino; e se il generale non eseguisse l'ordine ricevuto, chi avrebbe torto, lui o io?

- L'avreste voi, - disse con fermezza il piccolo principe.

- Esatto. Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può dare, - continuò il re.

- L'autorità riposa, prima di tutto, sulla ragione. Se tu ordini al tuo popolo di andare a gettarsi in mare, farà la rivoluzione. Ho il diritto di esigere l'ubbidienza perché i miei ordini sono ragionevoli.

- E allora il mio tramonto? - ricordò il piccolo principe che non si dimenticava mai di una domanda una volta che l'aveva fatta.

- L'avrai, il tuo tramonto, lo esigerò, ma, nella mia sapienza di governo, aspetterò che le condizioni siano favorevoli.

- E quando saranno? - s'informò il piccolo principe.

- Hem! hem! - gli rispose il re che intanto consultava un grosso calendario, -hem! hem! sarà verso, verso, sarà questa sera verso le sette e quaranta! E vedrai come sarò ubbidito a puntino.

Il piccolo principe sbadigliò. Rimpiangeva il suo tramonto mancato. E poi incominciava ad annoiarsi.

- Non ho più niente da fare qui, - disse il re.

- Me ne vado.

- Non partire, - rispose il re che era tanto fiero di avere un suddito, -non partire, ti farò ministro!

- Ministro di che?

- Di... della giustizia!

- Ma se non c'è nessuno da giudicare?

- Non si sa mai? - gli disse il re.

- Non ho ancora fatto il giro del mio regno. Sono molto vecchio, ma c'è posto per una carrozza e mi stanco a camminare.

- Oh! ma ho già visto io, - disse il piccolo principe sporgendosi per dare ancora un'occhiata sull'altra parte del pianeta.

- Neppure laggiù c'è qualcuno.

- Giudicherai te stesso, - gli rispose il re.

-  È la cosa più difficile. È molto più difficile giudicare se stessi che gli altri. Se riesci a giudicarti bene è segno che sei veramente un saggio.

- Io, - disse il piccolo principe, -io posso giudicarmi ovunque. Non ho bisogno di abitare qui.

- Hem! hem! - disse il re. -Credo che da qualche parte sul mio pianeta ci sia un vecchio topo. Lo sento durante la notte. Potrai giudicare questo vecchio topo. Lo condannerai a morte di tanto in tanto. Così la sua vita dipenderà dalla tua giustizia. Ma lo grazierai ogni volta per economizzarlo. Non ce n'è che uno.

- Non mi piace condannare a morte, - rispose il piccolo principe, -preferisco andarmene.

- No, - disse il re. Ma il piccolo principe che aveva finiti i suoi preparativi di partenza, non voleva dare un dolore al vecchio monarca: "Se Vostra Maestà desidera essere ubbidito puntualmente, può darmi un ordine ragionevole. Potrebbe ordinarmi, per esempio, di partire prima che sia passato un minuto. Mi pare che le condizioni siano favorevoli..."

E siccome il re non rispondeva, il piccolo principe esitò un momento e poi con un sospiro se ne partì.

- Ti nomino mio ambasciatore, - si affrettò a gridargli appresso il re. Aveva un'aria di grande autorità.

- Sono ben strani i grandi, - si disse il piccolo principe durante il viaggio.

 

XI.

Il secondo pianeta era abitato da un vanitoso.

- Ah! ah! ecco la visita di un ammiratore, - gridò da lontano il vanitoso appena scorse il piccolo principe. Per i vanitosi tutti gli altri uomini sono degli ammiratori.

- Buon giorno, - disse il piccolo principe, -che buffo cappello avete!

- È per salutare, - gli rispose il vanitoso.

- È per salutare quando mi acclamano, ma sfortunatamente non passa mai nessuno da queste parti.

- Ah si? - disse il piccolo principe che non capiva.

- Batti le mani l'una contro l'altra, - consigliò perciò il vanitoso. Il piccolo principe battè le mani l'una contro l'altra e il vanitoso salutò con modestia sollevando il cappello. È più divertente che la visita al re, si disse il piccolo principe, e ricominciò a batter le mani l'una contro l'altra. Il vanitoso ricominciò a salutare sollevando il cappello. Dopo cinque minuti di questo esercizio il piccolo principe si stancò della monotonia del gioco:

- E che cosa bisogna fare", domandò, - perché il cappello caschi?

Ma il vanitoso non l'intese. I vanitoso non sentono altro che le lodi.

- Mi ammiri molto, veramente? - domandò al piccolo principe.

- Che cosa vuol dire ammirare?

- Ammirare vuol dire riconoscere che io sono l'uomo più bello, più elegante, più ricco e più intelligente di tutto il pianeta.

- Fammi questo piacere. Ammirami lo stesso!

- Ti ammiro, - disse il piccolo principe, alzando un poco le spalle, -ma tu che te ne fai?

 

E il piccolo principe se ne andò. Decisamente i grandi sono ben bizzarri, diceva con semplicità a se stesso, durante il suo viaggio.

 

XII.

Il pianeta appresso era abitato da un ubriacone. Questa visita fu molto breve, ma immerse il piccolo principe in una grande malinconia.

- Che cosa fai? - chiese all'ubriacone che stava in silenzio davanti a una collezione di bottiglie vuote e a una collezione di bottiglie piene.

- Bevo? - rispose, in tono lugubre, l'ubriacone.

- Perché bevi? - domandò il piccolo principe.

- Per dimenticare, - rispose l'ubriacone.

- Per dimenticare che cosa? - s'informò il piccolo principe che cominciava già a compiangerlo.

- Per dimenticare che ho vergogna, - confessò l'ubriacone abbassando la testa.

- Vergogna di che? - insistette il piccolo principe che desiderava soccorrerlo.

- Vergogna di bere! - e l'ubriacone si chiuse in un silenzio definitivo.

Il piccolo principe se ne andò perplesso. I grandi, decisamente, sono molto, molto bizzarri, si disse durante il viaggio.

 

XIII.

Il quarto pianeta era abitato da un uomo d'affari. Questo uomo era così occupato che non alzò neppure la testa all'arrivo del piccolo principe.

- Buon giorno, - gli disse questi.

- La vostra sigaretta si è spenta.

- Tre più due fa cinque. Cinque più sette: dodici. Dodici più tre: quindici. Buon giorno. Quindici più sette fa ventidue. Ventidue più sei: ventotto. Non ho tempo per riaccenderla. Ventisei più cinque trentuno. Ouf! Dunque fa cinquecento e un milione seicento ventiduemila settecento trentuno.

- Cinquecento e un milione di che?

- Hem! Sei sempre lì? Cinquecento e un milione di ... non lo so più. Ho talmente da fare! Sono un uomo serio, io, non mi diverto con delle frottole! Due più cinque: sette...

- Cinquecento e un milione di che? - ripetè il piccolo principe che mai aveva rinunciato a una domanda una volta che l'aveva espressa. L'uomo d'affari alzò la testa:

- Da cinquantaquattro anni che abito in questo pianeta non sono stato disturbato che tre volte. La prima volta è stato ventidue anni fa, da una melolonta che era caduta chissà da dove. Faceva un rumore spaventoso e ho fatto quattro errori in una addizione. La seconda volta è stato undici anni fa per una crisi di reumatismi. Non mi muovo mai, non ho il tempo di girandolare. Sono un uomo serio, io. La terza volta ... eccolo! Dicevo dunque cinquecento e un milione.

- Milione di che?

L'uomo d'affari capì che non c'era speranza di pace.

- Milioni di quelle piccole cose che si vedono qualche volta nel cielo.

- Di mosche?

- Ma no, di piccole cose che brillano.

- Di api?

- Ma no. Di quelle piccole cose dorate che fanno fantasticare i poltroni. Ma sono un uomo serio, io! Non ho il tempo di fantasticare.

- Ah! di stelle?

- Eccoci. Di stelle.

- E che ne fai di cinquecento milioni di stelle?

- Cinquecento e un milione seicentoventiduemilasettecentotrentuno. Sono un uomo serio io, sono un uomo preciso.

- E che te ne fai di queste stelle?

- Che cosa me ne faccio?

- Si.

- Niente. Le possiedo io.

- Tu possiedi le stelle?

- Si.

- Ma ho già veduto un re che...

- I re non possiedono. Ci regnano sopra. È molto diverso.

- E a che ti serve possedere le stelle?

- MI serve ad essere ricco.

- E a che ti serve essere ricco?

- A comperare delle altre stelle, se qualcuno ne trova.

Questo qui, si disse il piccolo principe, ragiona un pò come il mio ubriacone. Ma pure domandò ancora:

- Come si può possedere le stelle?

- Di chi sono? - rispose facendo stridere i denti l'uomo d'affari.

- Non lo so, di nessuno.

- Allora sono mie che vi ho pensato per il primo.

- E questo basta?

- Certo. Quando trovi un diamante che non è di nessuno, è tuo. Quando trovi un'isola che non è di nessuno, è tua. Quando tu hai un'idea per il primo, la fai brevettare, ed è tua. E io possiedo le stelle, perché mai nessuno prima di me si è sognato di possederle.

- Questo è vero, - disse il piccolo principe.

- Che te ne fai?

- Le amministro. Le conto e le riconto, - disse l'uomo d'affari.

- È una cosa difficile, ma io sono un uomo serio!

Il piccolo principe non era ancora soddisfatto.

- Io, se possiedo un fazzoletto di seta, posso metterlo intorno al collo e portarmelo via. Se possiedo un fiore, posso cogliere il mio fiore e portarlo con me. Ma tu non puoi cogliere le stelle.

- No, ma posso depositarle alla banca.

- Che cosa vuol dire?

- Vuol dire che scrivo su un pezzetto di carta il numero delle mie stelle e poi chiudo a chiave questo pezzetto di carta in un cassetto.

- Tutto qui?

- È sufficiente.

È divertente, pensò il piccolo principe, e abbastanza poetico. Ma non è molto serio. Il piccolo principe aveva sulle cose serie delle idee molto diverse da quelle dei grandi.

- Io, - disse il piccolo principe, -possiedo un fiore che innaffio tutti i giorni. Possiedo tre vulcani dei quali spazzo il camino tutte le settimane. Perché spazzo il camino anche di quello spento. Non si sa mai. È utile ai miei vulcani, ed è utile al mio fiore che io li possegga. Ma tu non sei utile alle stelle...

 

L'uomo d'affari aprì la bocca ma non trovò niente da rispondere e il piccolo principe se ne andò. Decisamente i grandi sono proprio straordinari, si disse semplicemente durante il viaggio.

 

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